Tremonti: il taglio delle tasse? Sarà il dividendo del federalismo
di Mario Sensini, "Corriere della sera", 13 luglio 2008
ROMA - Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti analizza la crisi in atto paragonandola con quella degli anni '70 e con quella del '29. «Quella degli anni '70 è stata una crisi diversa. Le ragioni di scambio sul petrolio si erano spostate con eguale violenza, ma i governi potevano compensare con deficit pubblico. Ed è in specie dai deficit degli anni '70 che ha origine la tragedia del debito italiano. Adesso, anche per questo, la via del deficit è preclusa. Un'altra crisi possibile è una crisi stile '29, originata in America e da qui diffusa per contagio al resto del mondo». Tremonti ne aveva parlato al «Corriere» nell'autunno del 2006. «In realtà la storia non si ripete mai per identità perfette, e anche questa crisi - dice con aria preoccupata - avrà la sua storia. La globalizzazione ci sta presentando il suo conto, il conto del petrolio e dei prezzi: i due canali dentro cui la ricchezza viene pompata da Occidente a Oriente o altrove, tranne che in Africa, così erodendo le nostre "antiche" basi di sviluppo industriale e di benessere sociale» aggiunge Tremonti, senza alcun dubbio sulle responsabilità.
«Le scelte forti, le scelte decisive, quelle ideologiche, economiche e politiche sono state fatte nel "decennio fatale", negli anni '90 quando il mondo è stato occupato dal blocco globalista, mercatista, monetarista e mondialista. Tutto il resto è venuto in automatico. Certamente il motore politico è stato avviato negli Usa dai democratici clintoniani, diversissimi da quel che è Barack Obama oggi. In Europa la destra, ma soprattutto la sinistra, ha fatto la sua parte, nel silenzio assordante dei sindacati. In Italia la partita è stata giocata integralmente dalla sinistra al governo. Chi c'era a Marrakech nel '94, quando si lancia il WTO? Chi c'era a Pechino nel 2001, a firmare e celebrare per l'Europa l'ingresso trionfale dell'Asia nel commercio mondiale?»
La classe politica di quegli anni si è trovata a gestire un processo quasi ineluttabile, difficilissimo e probabilmente pericoloso da fermare.
«Tutto poteva essere fatto, e nell'interesse di tutti, in un tempo più lungo. Non dieci, ma venti o trent'anni avrebbero fatto la differenza tra equilibrio e squilibrio, tra saggezza e follia. Non solo: nello stesso tempo la politica è arretrata. Il G7 è diventato l'ombra del G7, e l'Europa si è drammaticamente indebolita. Nel decennio fatale è stato messo in pista un circo fatto da illuminati e direttori d'orchestra, da politici idealisti o da superficiali senza ideali, da banchieri centrali e d'affari. Chi ha inventato la globalizzazione è stata l'élite dell'occidente, chi ne paga il conto oggi sono i più poveri, in Occidente e non solo. Quello che va in scena ora è un circo degli orrori a quattro piste: la crisi finanziaria, la crisi energetica, la crisi alimentare, la tempesta perfetta che può essere portata da una nuova guerra in Medio Oriente…».
Lei attribuisce la responsabilità delle difficoltà attuali soprattutto ad elementi esterni: la Cina, il petrolio, il Wto, l'Europa. Non c'è proprio niente che il governo nazionale può fare?
«Basta guardare i telegiornali per capire che quelli sono i fatti che stanno cambiando il mondo, l'Europa, l'Italia. Secondo l'Eurobarometro il 64% della popolazione europea ritiene che la globalizzazione, così com'è, non va bene, il 68% teme la povertà. Le cause della crisi sono globali, ma gli impatti sono locali. La soluzione deve essere globale e locale: l'una senza l'altra è sbagliata. Sul fronte esterno il governo italiano si sta impegnando nel G8 e in Europa per la presa di coscienza dei fattori di crisi globale. Il 2009 sarà l'anno del G8 italiano e questa potrà essere la base per lo sviluppo di un'iniziativa internazionale mirata a rifare Bretton Woods».
In Italia avete appena varato una Finanziaria triennale anticipata. In sostanza la blindatura dei conti. E poi?
«L'Italia va riformata e rilanciata. La riforma decisiva, ineludibile come dice il presidente della Repubblica, si chiama federalismo fiscale, mentre il rilancio può passare attraverso l'economia sociale di mercato. Sul primo fronte siamo relativamente ottimisti. La sinistra potrà avere ed avrà un ruolo istituzionale fondamentale nel disegno riformatore costituzionale e, dentro questo, nel disegno del federalismo fiscale. L'economia sociale di mercato sta nel nostro programma elettorale: è una prospettiva che si apre. Sappiamo bene che è un esperimento tanto necessario quanto complesso. In Europa i governi non "fanno" l'economia, ma devono e possono fare la piattaforma su cui l'economia si sviluppa. E' per questo che la manovra è basta su due pilastri. Quello del consolidamento triennale del bilancio pubblico e quello dello sviluppo. Finora l'attenzione si è concentrata solo sul primo. Ma, in realtà, c'è anche ed ugualmente importante il secondo. Dal nucleare alle infrastrutture, all'uso attivo della Cassa Depositi, alla riprogrammazione centralizzata dei fondi europei per il Sud, dal piano casa ai nuovi strumenti di investimento nella ricerca, dalla riforma del processo civile alla liberalizzazione dei servizi locali, fino alla semplificazione legislativa e burocratica. In questi termini l'Italia ha già iniziato a trasformare in legge la sua Agenda di Lisbona ».
Però, per far quadrare i conti, è stata tagliata anche la spesa per le infrastrutture.
«Non è vero, e al Sud stanno per arrivare 100 miliardi di investimenti. Il vero problema non è avere, ma usare i capitali. L'Autostrada del Sole, la più grande opera moderna di unificazione del Paese, è stata costruita senza una lira di fondi pubblici, ma con una fortissima regia "pubblica"».
Invita tutti nella stanza dei bottoni?
«Questa è una formula vecchia, ma efficace. Esperienze, tempi, metodi, indirizzi e controlli possono essere messi in campo da forze esterne al governo e alla politica, ma che pure sono parte essenziale del Paese: parti sociali, sistema industriale, bancario, fondazioni, società civile. In tempi straordinari è un dovere chiedere ed aspettarsi l'impegno di tutti nell'interesse generale. A una realtà nuova si deve rispondere con una formula nuova».
Perché le imprese e i sindacati, vista l'aria di crisi che tira, dovrebbero assumersi il peso delle scelte?
«Quello che si chiede non è di condividere le responsabilità, che sono e restano del governo, ma di esprimere e far valere in positivo le proprie ragioni e le proprie esperienze».
Piuttosto, Veltroni minaccia manifestazioni autunnali.
«Piazza per piazza è più bravo Di Pietro e lo si vede nei sondaggi. Fare uno sciopero contro il petrolio e il carovita quando i soldi non ci sono per nessuno è come scioperare contro la pioggia. In ogni caso è grottesco che i sinistri artefici della globalizzazione mondialista guidino le vittime contro le loro stesse colpe, convinti di fregare il popolo, convinti che la verità non venga fuori e gli si ritorca contro».
Pierluigi Bersani, ministro ombra dell'Economia, sospetta che il deficit di quest'anno sia sovrastimato. E non solo da sinistra il governo viene continuamente riportato alla promessa elettorale di riduzione delle tasse…
«Con la crescita che è andata verso lo zero e il deficit in salita, i soldi non ci sono per nessuno, neanche per il governo. Io ho solo il dovere di mettere in sicurezza il bene pubblico superiore che è il bilancio dello Stato e, dentro questo, il risparmio delle famiglie. Quando va in crisi il mercato l'ultima e superiore istanza è lo Stato. Non cederemo agli illusionisti dei tesoretti - magari ci fossero - o ai cattivi maestri del deficismo. L'impegno preso nel 2007 dalla Repubblica è quello europeo e intendiamo rispettarlo».
E il taglio delle tasse a quando?
«In sessanta giorni abbiamo detassato la casa e gli straordinari. La riduzione delle tasse verrà come dividendo del federalismo fiscale - meno spese e meno tasse - e con una crescita socialmente concertata. Da qui potrà uscire nuova ricchezza che dovrà essere destinata alla prioritaria riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente, le pensioni e le famiglie. Non possiamo dividere una torta che non c'è, ma sperare di creare tutti insieme un maggior prodotto e una maggior giustizia. Sappiamo bene che nel paese c'è sofferenza, ma anche che questa potrebbe crescere e non ridursi con una spesa pubblica non coperta, che porterebbe al disastro i conti».
Ieri anche il Portogallo ha adottato la sua Robin Hood Tax. Qui molti ne contestano l'efficacia, giudicandola d'effetto, ma di poca sostanza.
«Si dice che sia un'imposta inutile, perché tanto i petrolieri la traslerebbero sui prezzi. In questi termini l'unica imposta giusta sarebbe quella sugli operai, che non la possono traslare. Fa effetto che l'anno scorso sia stato ritenuto giusto il raddoppio dell'Iva sul riscaldamento per le famiglie, perché tanto non potevano traslare la tassa, e invece ora si ritenga ingiusta l'imposizione sugli extraprofitti dei petrolieri. Gli effetti sui prezzi saranno bloccati dalle autorità di controllo. E comunque è meglio prendere quattro miliardi lì che doverli tagliare alla spesa sociale e alla sanità».