Intervista del ministro Bondi al Corriere della sera

Mi ispiro a Spadolini e Ronchey. Bondi: voglio bellezza Convincerò Eco Sì a Fuksas e Moretti

Intervista al ministro Sandro Bondi di Aldo Cazzullo, "Corriere della sera", 9 maggio 2008, p. 5

ROMA - «La cultura non è di destra o di sinistra. E' la cultura». Sandro Bondi ha appena giurato da ministro. «La mia linea è parlare con tutti, e ascoltare tutti. Guardando al prestigio, non alle opinioni politiche».

La cultura in Italia però è classificata a sinistra; foto: Sandro Bondiin ogni caso, contro Berlusconi.

«Ma io distinguo tra la militanza politica e l' aspetto più interessante, creativo, autentico del lavoro degli intellettuali, degli artisti, dei registi. Prendiamo Umberto Eco».

Un mese fa avete avuto una polemica.

«Sì, lui aveva dato giudizi su Berlusconi che erano in realtà pregiudizi. Ma io non posso non avere profonda stima di Umberto Eco, del suo lavoro di cinquant' anni. Voglio far cadere il tabù, le diffidenze. Voglio convincere lui e quelli che la pensano come lui che si stanno sbagliando sul nostro conto, che questo governo è aperto al dialogo, al confronto, allo scambio, alla collaborazione con le più importanti intelligenze del Paese».

Tra i progetti, assicura il nuovo ministro, c' è il rilancio del cinema italiano.

«Io amo molto il cinema. E' la vera arte contemporanea, quella che mi dà emozioni più forti. C' è un intero mondo da valorizzare, per far sì che si misuri con il mercato: attori, sceneggiatori, tecnici. Andrò a trovare Zeffirelli, a chiedergli consigli. Ma anche in questo campo non avrò preclusioni ideologiche. Ho visto tutti i film di Nanni Moretti, e li ho amati. Tutti tranne Il Caimano: quello proprio non ce l' ho fatta. Era un film militante. Ma io credo che il vero Moretti sia un altro, quello poetico che sa toccare corde profonde, come ne La stanza del figlio. Ora voglio andare a vedere il film di Virzì sui precari, me ne hanno parlato bene».

E la letteratura?

«Leggo molto, ho appena finito Patrimonio di Philip Roth, ma amo anche la letteratura italiana contemporanea. Sta per uscire sul Foglio una mia recensione molto favorevole all' ultimo libro di Eugenio Scalfari».

Molto favorevole?

«E' un libro di grande profondità, che affronta il senso della vita, che racconta una ricerca ai confini con la fede...».

E l' arte?

«Sono molto legato a Pietro Cascella».

Lo scultore del mausoleo di Arcore?

«Non solo. Da giovanissimo vinse il concorso per il monumento su Auschwitz. Ha disegnato piazze, è un grande artista. Ma apprezzo anche Arnaldo Pomodoro. Ammiro Renzo Piano. E so bene che Massimiliano Fuksas è uno dei più grandi architetti al mondo. Distinguo tra le parole che con sofferenza gli sento dire da Santoro e le sue opere». Spiega Bondi di avere «due punti di riferimento. Il mio lavoro non potrà che sviluppare l' opera di intellettuali e ministri autorevoli come Giovanni Spadolini e Alberto Ronchey. E voglio partire da quello straordinario patrimonio di professionalità rappresentato dai sovrintendenti, e dai funzionari e uomini di cultura che lavorano al ministero. Persone di assoluta eccellenza, che rappresentano una élite nel nostro apparato statale. Voglio lavorare con loro con umiltà e con una missione comune. Solo così l' imponente giacimento culturale del Paese diventerà il luogo della bellezza e lo strumento per una fase nuova di progresso: economico, civile, culturale. La bellezza di un popolo. Un valore per tutti». Bondi parla proprio di «politica della bellezza». «Tra tutte le civiltà della storia, la più potente, cioè la civiltà industriale dell' Occidente, è anche la più povera di testimonianze della sua genialità, di segni della bellezza. Dalle città devastate dalla bruttezza e dal degrado si annidano fenomeni allarmanti di disagio sociale: la bruttezza genera mostri. Per questo dobbiamo investire nella bellezza. Riportare l' arte nel cuore delle città. Far lavorare i nostri artisti. Lasciare qualcosa ai posteri».

Anche Isozaki e la sua pensilina agli Uffizi, anche Meier e la contestata teca dell' Ara Pacis?

«Non dev' essere il gusto personale del ministro a decidere. In ogni caso, per me la bellezza è armonia. Gli interventi sono belli quando si armonizzano con le vestigia dei centri storici, quando sono persuasivi e non invasivi».

Ne parlerà con Sgarbi?

«E' una delle prime cose che farò. Un' intelligenza come quella di Vittorio va coinvolta. Nessuno conosce in profondità come lui la bellezza italiana, borgo per borgo».

Farà il sottosegretario?

«Di questo non si è discusso. Ci incontreremo e troveremo la forma per collaborare. Così come si dovranno coinvolgere gli scienziati: l' Italia non è solo la terra degli artisti, bensì anche di Galileo, di Volta, di Galileo Ferraris, di Fermi, di Segre, di Marconi, di Natta. Il nostro Paese deve riacquistare il suo secolare ruolo nella ricerca scientifica».

Ma perché la cultura italiana ha ancora una coloritura rossa, o almeno rosa?

«Io parto da un dato di fatto: il Novecento è finito e con esso le ideologie, che hanno sempre deformato la cultura, rendendola instrumentum regni. Da una crisi epocale come questa dobbiamo saper trarre una grande opportunità di crescita. L' Italia non può e non deve essere "invertebrata" come la Spagna di Ortega y Gasset; al contrario, deve ritrovare la bellezza e la forza delle sue radici. Così si costruisce, oggi, la giusta alleanza con il futuro».

Bondi, lei è sempre poeta.

«No. Basta con questi vecchi cliché, davvero. Sono un servitore dello Stato. E lavorerò per recuperare l' anima profonda del mio amato Paese, e ritrovare le energie per lasciare nel futuro la traccia di ciò che siamo. Alla coscienza della rottura di un ordine antico, quello ideologico, deve subentrare la certezza moderna di poter operare con strumenti legislativi che hanno già dato frutti importanti. Penso alla legge Galasso, che negli anni Ottanta del secolo scorso seppe tenere insieme il vincolo ambientale e la valorizzazione dei beni culturali. Al di là di qualsiasi steccato ideologico, la nostra terra è ancora il luogo della bellezza, della vita, della creatività e della tensione comunitaria. Voglio creare da questi segmenti di civiltà il lessico di una politica della bellezza. La cultura come modus essendi di un popolo. Dal valore strategico, simbolico, religioso, morale...».