Un provvedimento che non sottrae nessuno al dominio della legge

Maurizio Gasparri

22 luglio 2008

Intervento al Senato della Repubblica durante il dibattito sul lodo Alfano

Signor Presidente, onorevoli foto: Maurizio Gasparricolleghi, oggi la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per 15 volte per non avere rispettato i tempi di un giusto processo. È una notizia di poco fa. Silvio Berlusconi ha dovuto aspettare 11 anni per essere assolto dopo l'avviso di garanzia avuto a Napoli nell'autunno del '94. E, cari colleghi, ha dovuto aspettare 12 anni per essere assolto con formula piena per le infondate accuse del caso SME: 12 anni.

Noi non riteniamo di violare alcuna norma costituzionale. Ricordo ai colleghi che nei giorni scorsi 36 costituzionalisti - di cui primo firmatario è un presidente emerito autorevolissimo della Corte come Annibale Marini - hanno divulgato un documento nel quale si ritiene che "siano aprioristiche e perciò dannose posizioni oltranziste nei confronti di misure come il lodo Alfano, che si sforzano di bilanciare ragionevolmente i diversi interessi in gioco in quel conflitto tra politica e giustizia che dura da troppi anni. Nel rispetto delle indicazioni fornite a suo tempo dalla Corte costituzionale", dice questo appello, "come indicato pochi giorni fa dallo stesso Capo dello Stato, il lodo mira a garantire una temporanea immunità ai soggetti investiti delle cariche politico-istituzionali più importanti. Consente a chi ha responsabilità di Governo di dedicarsi a esse con la necessaria serenità e il dovuto impegno, senza per questo pregiudicare il principio della soggezione di tutti alla legge penale". Questo appello si conclude facendo anche riferimento all'indipendenza "della magistratura e dell'attività giurisdizionale" che "devono essere bilanciate con la difesa della separazione dei poteri e del principio della sovranità popolare, che affida a chi ha vinto le elezioni il diritto di governare".

Lo stesso presidente emerito Annibale Marini, in una intervista rilasciata in questi giorni ha detto che se per lo scudo alle alte cariche dello Stato fosse stata necessaria una legge costituzionale, la Consulta lo avrebbe affermato nella ben nota sentenza del 2004: così non è, dunque basta una legge ordinaria.

Un altro presidente emerito della Consulta, Alberto Capotosti, in una intervista al «Corriere della Sera» ha affermato: «Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sul lodo Alfano è stato ineccepibile perché in base a quanto ha affermato la Corte Costituzionale nella sentenza 24 del 2004 non è necessaria, per approvare lo scudo penale per le alte cariche, la forma della legge costituzionale. Basta», dice Capotosti, «la legge ordinaria: questo è quello che risulta testualmente stabilito dalla Corte nella sua decisione».

Oggi, nel dibattito in Aula, il nostro capogruppo nella Commissione giustizia Mugnai ha ricordato (non voglio eludere i problemi, cari colleghi, e non ci nascondiamo dietro ad un dito) che alla data odierna sono stati avviati 101 procedimenti penali relativi al gruppo Fininvest, che hanno coinvolto 104 soggetti; con riferimento a 59 procedimenti sono state celebrate 2.140 udienze, di cui 731 in procedimenti riguardanti Silvio Berlusconi. Vi risparmio i numeri dei milioni di documenti sequestrati, degli accessi realizzati. Ebbene, vi sono state, a seguito di tutte queste indagini, 109 posizioni di proscioglimento ed archiviazione e 75 assoluzioni.

Questi sono i numeri, e oggi anche il vice presidente vicario del Gruppo del PdL, senatore Quagliariello, ha ricordato come i 94 procedimenti penali intentati contro Silvio Berlusconi e il suo gruppo imprenditoriale, tutti avviati dopo l'impegno politico di Silvio Berlusconi (vi fa riflettere questo dato, o no?), si siano conclusi tutti con l'assoluzione ed uno solo per prescrizione.

C'è pregiudizio da parte di alcuni magistrati? Io penso di sì. Nella sentenza che ha respinto la ricusazione della dottoressa Gandus, a pagina 12 si afferma che tuttavia, pur respingendo la ricusazione, si evince da tutta la documentazione prodotta dalla difesa che la dottoressa Gandus ha fortemente esternato il proprio pensiero e ha vivacemente criticato scelte politiche legislative della parte politica a lei estranea. Non si capisce come, in una sentenza, si dica che vi è una parte politica estranea a un giudice che deve giudicare! È molto grave che si debba ammettere questo! È molto grave che lo si debba scrivere in una sentenza, sia pur di respingimento! (Applausi dal Gruppo PdL).
Pierluigi Battista, fonte certamente neutra e citata nella sentenza, ha scritto sul «Corriere della Sera» che un giudice che comunica con interviste, manifesti, cortei, petizioni e propri giudizi anche radicali, difficilmente può esigere che altri cittadini di opinioni opposte alle sue non nutrano sospetti sulla mancanza di indipendenza, imparzialità, equanimità, di chi istruisce indagini o giudica nei tribunali quel cittadino. Ha ragione Pierluigi Battista.

Cari colleghi, noi non vogliamo nessuna impunità parlamentare e non vogliamo immunità generalizzate. Vogliamo evitare un uso politico della giustizia!

Questa energia è stata sottratta a processi contro i crimini per processi conclusisi con assoluzione e che non avrebbero dovuto essere mai nemmeno avviati, se non vi fosse stata una ragione politica alla loro origine! Noi, quindi, non ci nascondiamo dietro un dito: la garanzia riguarda le alte cariche dello Stato: non è una norma solo per oggi e né per un solo caso. È una norma simile a quella in vigore in Francia e in altri Paesi, dove i procedimenti per le alte cariche sono sospesi e celebrati alla fine del mandato. Questo lodo non cancella le eventuali responsabilità e gli eventuali giudizi.

Variamo, quindi, un provvedimento che ha tenuto conto delle valutazioni della Corte costituzionale e che non sottrae nessuno al dominio della legge. Colleghi, vorrei poi ricordarvi che dovete placare i vostri giudizi. Ho letto con gusto un articolo di Giampaolo Pansa su «L'Espresso» della settimana scorsa. Egli ha ricordato le parole di Massimo D'Alema quando, nel 1996, vi fu l'inchiesta a La Spezia. Diceva Massimo D'Alema - cito Giampaolo Pansa - che non si possono destabilizzare le istituzioni politiche andando in televisione a dire che vi sono dei politici coinvolti in un'inchiesta.

Nel 1996, quando vi fu questa inchiesta, tre membri del Consiglio superiore della magistratura dell'allora PDS chiesero al ministro di fare un'ispezione, sostenendo l'incidenza di alcune esternazioni di magistrati sul sereno svolgimento delle funzioni politiche di Governo e sull'andamento dell'economia. Vi risparmio cosa scrisse Pietro Folena, allora coordinatore del partito di taluni di voi, su «l'Unità» e ciò che disse Cesare Salvi. Anzi, cito Cesare Salvi il quale disse che era inaccettabile che le decisioni del Parlamento potessero essere condizionate dalle opinioni dei giudici. Pensate un po', aveva ragione anche Cesare Salvi: cosa ci tocca dire in questa Aula!

Sempre con garbato rispetto, nei giorni scorsi l'onorevole D'Alema ha invitato Silvio Berlusconi ad andare a testa alta a farsi giudicare dai giudici. Perché, allora, ancora aspettiamo che il Parlamento europeo decida sulla immunità a cui, in sede europea, ha fatto ricorso Massimo D'Alema? Dunque, D'Alema aspetta ancora che il Parlamento europeo valuti le sue carte mentre Berlusconi dovrebbe correre di fronte a giudici così definiti.

Siamo rispettosi delle posizioni di tutti, di D'Alema come di Fassino: ci mancherebbe altro! Non abbiamo utilizzato speculazioni politiche e prendiamo con le pinze certi giornali e certe fonti. Oggi ho sentito a sinistra molte critiche a «la Repubblica»: ben vengano! Certi giornali mi piacciono tutti i giorni: oggi mi sono piaciuti un po' meno, ma non è questo il momento di alimentare polveroni.

Condividiamo gli appelli che in queste ore sono stati rinnovati dal presidente Napolitano, che ieri ha parlato ancora una volta di una tendenza alla spettacolarizzazione dei processi. Non citerò Ayala, Caponnetto e Falcone su alcuni eccessi di politicizzazione. Ci sarà tempo e modo di farlo in quest'Aula, colleghi.

Vorrei citare solo Di Pietro e Falcone. Nei giorni scorsi Di Pietro ha affermato: quanto mi piace quando li vedo con il sangue agli occhi. Quasi che godeste nel creare lo scontro e il conflitto! A una persona che vorrebbe il sangue agli occhi dei suoi avversari noi contrapponiamo un giudizio di Giovanni Falcone, il quale dichiarò: «La magistratura ha sempre rivendicato la propria indipendenza, lasciandosi in realtà troppo spesso irretire surrettiziamente dalle lusinghe del potere politico». Siamo, allora come oggi, con Giovanni Falcone, non con il sangue agli occhi e voteremo orgogliosi questo provvedimento di legge.

[22 luglio 2008]