Intervista a Corrado Passera, ad di Banca Intesa Sanpaolo, Corriere della sera, 1° settembre 2008
«Nuova Alitalia? Né a destra né a sinistra»
«Offrimmo collaborazione anche a Prodi. I sindacati di fronte a progetti seri e credibili non si sono mai tirati indietro»
MILANO - «È un piano serio, è un piano che può permettere ad Alitalia di tornare a competere e crescere sul mercato. E' un piano difficile, perché difficilissima è la situazione in cui si trova Alitalia. Non è paragonabile al piano di Air France, perché quest'ultimo faceva scomparire Alitalia come azienda autonoma e comunque era prima della crisi del petrolio che ha fatto fallire decine di linee aeree e che la Iata definisce paragonabile a quella post 11 settembre. Anche il presidente di Air France, Spinetta, mi ha confermato che la loro proposta sarebbe stata del tutto inadeguata a risanare Alitalia alla luce degli eventi successivi. In ogni caso se ci saranno offerte migliori il commissario le valuterà sicuramente».
Ma cosa qualifica il piano rispetto alle precedenti ipotesi?
«Il raggiungimento, grazie ad AirOne, di una dimensione sufficiente per il rilancio del vettore sul mercato non solo domestico, ma anche internazionale. La produttività e un servizio che saranno in linea con i migliori concorrenti. Il completo rinnovo della flotta unito al ridisegno del network per soddisfare le esigenze del mercato italiano. E poi una grande alleanza internazionale».
Eppure la critica che vi viene rivolta è di far arretrare la cultura di mercato.
«Al contrario, è un piano di mercato ed è finalmente una privatizzazione di Alitalia da tanti anni tentata e mai riuscita. Credo nel libero mercato e credo di aver contribuito allo sviluppo della concorrenza sia ai tempi della telefonia mobile, che alle poste, che in banca. Se oggi l'Italia ha due banche tra le prime del mondo è grazie alla formidabile iniezione di concorrenza che si è saputo introdurre nel settore. Privatizzazioni e liberalizzazioni che hanno portato al consolidamento, alla crescita e a uno standard di innovazione mai viste precedentemente».
Ammetterà che il rilancio dell'Alitalia avviene però sotto il segno della cultura dei campioni nazionali e della deroga alle norme antitrust.
«Ogni settore ha le sue regole del gioco e non esistono schemi di privatizzazione validi per tutti. Ogni grande compagnia europea è prima di tutto campione nazionale a casa propria, con posizioni dominanti che arrivano in qualche caso al 90%, come in Francia. La nuova Alitalia arriverà a meno del 60% ed in ogni caso l'Antitrust vigilerà. Se poi lei si riferisce alla tratta Roma-Milano il vero concorrente è il treno che in un paio di anni potrà raggiungere anche il 50% del mercato».
Il rischio però è che si tratti di una privatizzazione pagata dai consumatori.
«Non sarà così. Il nostro piano è nell'interesse sia dei consumatori sia dei cittadini. E' nell'interesse dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l'efficienza. Tiene conto anche degli interessi della comunità nazionale. Salvaguardare l'italianità della compagnia di bandiera serve a rafforzare le chance dell'Italia in campo turistico e renderla più aperta agli scambi e all'internazionalizzazione. Sono valori economici anche questi».
Italianità? Ma Air France o Lufthansa o British Airways potrebbero fare un calcolo di questo tipo: mettiamo un piede dentro pagando solo il 10% e poi domani facciamo il colpo dando un po' di soldi agli imprenditori e ci prendiamo tutto. Nel frattempo il "lavoro sporco" lo avranno fatto gli italiani. Qualcuno è arrivato a evocare il paragone con l'ingresso di Telefonica in Telco.
«A parte che l'operazione Telefonica- Telco aveva ed ha una sua logica di cui non ha senso parlare in questa sede, il paragone è comunque sbagliato. La stragrande maggioranza del capitale di Alitalia resterà in mani italiane e tutti gli azionisti hanno accettato di vincolarsi per cinque anni. Noi abbiamo creato le condizioni perché nel 2013 arrivi una compagnia tricolore viva, più efficiente, più competitiva. A seconda di come sarà l'industria del volo allora sarà possibile tracciare il miglior futuro per questa compagnia».
Si dice che gli imprenditori che sono entrati in Alitalia hanno realizzato una sorta di scambio con la politica. Eugenio Scalfari lo chiama "imbroglio". Puntano una fiche sugli aerei ma intanto ricavano migliori condizioni nelle concessioni autostradali, fanno il pieno dei lavori dell'Expo e godono di tanta tanta benevolenza governativa.
«È una insinuazione sbagliata, pregiudiziale e non vera. Tutti gli azionisti hanno esaminato con grande attenzione il piano ed hanno deciso di investire perché lo apprezzavano come imprenditori e per i risultati economici che si propone di raggiungere. Certamente tutti hanno dato importanza anche al fatto di poter contribuire ad un progetto utile per il nostro Paese, ma la valutazione fondamentale è stata per tutti di tipo imprenditoriale. Guardando la lista di investitori, la maggioranza non ha neanche rapporti con il mondo pubblico».
Ma la figura di Roberto Colaninno primus inter pares non rischia di compromettere l'equilibrio della compagine azionaria?
«Tutti si sono riconosciuti nella scelta di nominare Colaninno presidente e Sabelli amministratore delegato. Sabelli ha condiviso fin dall'inizio le scelte del piano e ha contribuito alla sua messa a punto. Quando anche Colaninno si è aggiunto alla squadra si è potuto riformare un tandem che ha già conseguito grandi risultati in altre operazioni. Contiamo poi sul contributo di tutti gli azionisti e, in particolare, saranno importanti la competenza e le professionalità apportate da Carlo Toto. Senza AirOne l'operazione non sarebbe stata possibile e non avremmo le dimensioni necessarie, gli aerei, la quota di mercato per riuscire».
Quale sarà il ruolo di Intesa?
«Nelle ultime settimane abbiamo svolto un ruolo strategico di pianificazione e coordinamento del progetto. A questa prima conclusione positiva si è arrivati innanzitutto grazie all'impegno di Gaetano Micciché e del suo gruppo di lavoro e poi di tutti gli imprenditori che hanno creduto in questo progetto. Ora come Intesa Sanpaolo assumiamo il ruolo di azionisti insieme agli altri».
E il dibattito interno al gruppo Intesa Sanpaolo come prosegue? La stampa ha parlato di visioni diverse tra il Consiglio di Sorveglianza e quello di Gestione con il timore da parte del primo di favorire eccessivamente il governo Berlusconi.
«La dialettica è sempre utile per arrivare a decisioni giuste e condivise. Sia il Consiglio di Gestione che quello di Sorveglianza hanno interpretato al meglio il proprio ruolo e fornito il loro contributo. Tutte le scelte su quest'operazione sono state fatte all'unanimità sia nei due consigli sia nei comitati strategici della banca. Non è mai sorto il problema del cui prodest, ma si è discusso sempre e solo della validità del progetto, così come nei molti altri casi in cui la banca ha impegnato del capitale per rendere possibili grandi progetti di ristrutturazione e rilancio di aziende italiane».
Un indirizzo che avete seguito e seguirete con tutti i governi?
«Da sempre ci muoviamo così senza badare al colore della coalizione che governa il Paese. Chi sia il presidente del Consiglio e quale la maggioranza che lo sostiene, ai fini delle nostre decisioni è irrilevante. Anche al governo Prodi abbiamo offerto la nostra collaborazione sul dossier Alitalia, ma non si sono create le condizioni».
A suo tempo la banca sostenne la proposta d'acquisto da parte di AirOne.
«Seguiamo la vicenda da due anni. In una prima fase abbiamo sostenuto l'offerta AirOne ma non si è creduto nella bontà del nostro piano e non siamo stati ammessi neanche alla due diligence. Nella fase successiva in cui la crisi di Alitalia si è aggravata e siamo entrati in una fase diversa e più critica. La somma Toto più Alitalia non era più sufficiente per affrontare l'emergenza Alitalia e i nuovi prezzi del carburante; servivano altre energie imprenditoriali e le abbiamo trovate. L'Alitalia, per poter attirare capitali, aveva bisogno di un risanamento e riorganizzazione ancor più profonda».
Lei la chiama riorganizzazione profonda ma i suoi critici dicono che si tratta di un revival della vecchia e perniciosa attitudine italiana a privatizzare i benefici e a socializzare i costi. Addossando allo Stato esuberi di personale, indennizzi ai piccoli risparmiatori e quant'altro.
«Penso solo una cosa: il fallimento dell' Alitalia scaricherebbe sulle spalle dello Stato oneri di tutti i tipi. Qualcuno fa finta di dimenticarselo e dimentica anche che la compagnia è stata ridotta in fin di vita da anni e anni di cattiva gestione e di responsabilità diffuse».
Si parla molto in questi giorni di una collaborazione tra il governo di centro- destra e le più importanti realtà imprenditoriali e bancarie del Paese. C'è chi è arrivato a paragonare il piano di risanamento Alitalia alla commissione Attali varata in Francia dal governo Sarkozy. E del resto anche lei in più occasioni e in tempi non sospetti ha sostenuto che una esperienza à la Attali avrebbe fatto bene all'Italia.
«Accetto il paragone almeno in parte. La commissione Attali è stato sinonimo di un impegno no partisan, di interventi economici e infrastrutturali coordinati in vari settori, di progetti di lungo termine che mobilitano risorse pubbliche e private. Anche in questo caso la ristrutturazione di Alitalia non potrà, ad esempio, prescindere da una riorganizzazione del sistema aeroportuale. L'Alitalia non è né di destra né di sinistra. Questo è il nostro modo di lavorare».
Ma la logica Attali può estendersi dall' Alitalia anche ad altri progetti. Senza essere particolarmente originale penso alle infrastrutture…
«Ci sono progetti Paese che vanno sicuramente al di là dei tempi della politica. Ci sono opere nel campo della scuola, della giustizia, dei trasporti che ogni governo dovrebbe portare avanti facendo il suo pezzo di strada. Credo sinceramente che questo sia l'auspicio di moltissimi italiani, che magari non hanno mai sentito parlare di Attali, ma che vogliono vedere i problemi risolti e non ricominciare da capo in una direzione diversa ad ogni cambio di governo».
Non tutti ricordano che in definitiva è stato il sindacato a bocciare il vecchio piano Spinetta e ad affossare l'ipotesi Air France, non teme che possa accadere lo stesso anche questa volta con il piano Intesa?
«Tutti i progetti di risanamento e rilancio che ho vissuto, li ho condivisi con il sindacato. La mia esperienza dimostra che anche in caso di ristrutturazioni aziendali difficili, di fronte a piani credibili, onesti e di sviluppo il sindacato non si è mai tirato indietro. Confido che anche questa volta vada così e che si abbia il coraggio di fare in Alitalia ciò di cui l'azienda ha bisogno e che non ha fatto negli ultimi anni».
Dario Di Vico