Lettera di Sandro Bondi a Repubblica
27 settembre 2008 p. 39
Caro direttore, la riflessione aperta da Edmondo Berselli, sulle ragioni del successo di Silvio Berlusconi e del suo governo, rischia di essere fuorviante culturalmente e perciò improduttiva politicamente, almeno per chi intenda utilizzarne i risultati sul piano dell' azione politica. Il limite di fondo di questa analisi - un costante ritorno nel corso di questi anni - consiste nell' attribuire il successo di Berlusconi volta per volta all' astuzia del leader del Popolo della Libertà, ai suoi enormi mezzi finanziari compreso il controllo delle televisioni, alla semplificazione del suo messaggio politico, fondato sull' appello agli istinti piuttosto che alla razionalità e complessità del pensiero politico, fino alla considerazione dell' immaturità del popolo italiano, in linea con una pessimistica lettura della storia italiana, che mi sembra il tratto più tipico e profondo dell' analisi del fondatore del Suo giornale.
Questa analisi non ha portato fortuna, essenzialmente perché essa era ed è fondata su premesse sbagliate. Il cosiddetto "berlusconismo", infatti, è stato innanzitutto la risposta alla crisi del sistema politico italiano, che ha coinciso con la caduta del muro di Berlino e con Tangentopoli, e la presa d' atto dell' incapacità/impossibilità del Partito comunista italiano di trasformarsi in una autentica forza politica riformista di stampo europeo.
In secondo luogo, il "berlusconismo" ha rappresentato e continua a rappresentare il tentativo più alto di modernizzazione delle strutture economiche e istituzionali del nostro Paese, sulla base non di una ideologia, ma di un sistema di valori autenticamente liberali e riformatori, che hanno influenzato oltretutto l' intera politica europea. Il caso di Giulio Tremonti è emblematico di una cultura politica che fra le ragioni del suo successo non annovera certamente la semplificazione, bensì un' alta dose di complessità, visto che ha saputo decifrare, prevedere e fornire soluzioni ad una crisi del sistema capitalistico internazionale, nel silenzio e nell' apatia assoluta della cultura di sinistra.
Un' altra premessa errata delle riflessioni a cui ho fatto riferimento riguarda la questione delle radici antropologiche del consenso che premierebbe il format politico di Silvio Berlusconi, come scrive Marino Niola. Beninteso, non sottovaluto affatto i rischi a cui è esposta la democrazia quando la politica fa appello agli istinti più irrazionali piuttosto che al ragionamento e al giudizio libero e informato dei cittadini. Ciò che non condivido, invece, è l' accusa rivolta alle forze politiche di governo di una politica ridotta a format, la cui parola d' ordine è la semplificazione: dalla scuola alla sicurezza, dalla pubblica amministrazione all' immigrazione. Addirittura Michele Serra ne trae la conseguenza che la posta in gioco è il destino della cultura.
La mia convinzione, al contrario, è che il successo dell' attuale governo derivi proprio da una cultura non imprigionata da schemi ideologici e perciò capace di guardare e di leggere la realtà, oltre ché di interpretare correttamente gli interessi e le speranze dei cittadini. Di contro, la crisi dell' opposizione, della sinistra, nasce innanzitutto dall' incapacità di comprendere la realtà. Ripulire Napoli dai rifiuti, salvare la nostra compagnia di bandiera, assicurare la sicurezza dei cittadini, regolare l' immigrazione, ridurre la spesa pubblica e gli sprechi, premiare il merito nella pubblica amministrazione, tornare al rigore negli studi, non è un format fondato sulla semplificazione. è semplicemente una politica del fare, che risponde alle esigenze e alle preoccupazioni della stragrande maggioranza dei cittadini: di destra e di sinistra. Quando lo capiranno non soltanto gli intellettuali o i brillanti editorialisti di Repubblica, ma soprattutto gli esponenti politici della sinistra, avremo sbarazzato il terreno da pericolosi equivoci e facili illusioni, e fatto un passo avanti sul terreno del confronto utile.