I bilanci in rosso delle Università Italiane nascondono spese ormai fuori controllo: troppi dipendenti, corsi di laurea di dubbia utilità, concorsi banditi senza sosta, sprechi che si perpetuano. Gli atenei dovranno predisporre piani di rientro sui quali il Governo vigilerà e la lotta agli sprechi diventerà prioritaria. L’università italiana, così come è, è indifendibile e chi lo fa danneggia solo i ragazzi. Molti corsi di laurea servono solo a moltiplicare le cattedre: saranno eliminati quelli non necessari.
Le cifre dello sfascio
Nel corso degli ultimi anni gli atenei italiani hanno moltiplicato i corsi di laurea e, di conseguenza, le cattedre. 5.500 sono i corsi di laurea in Italia. Le università sono 90 con 330 sedi distaccate e 170 mila insegnamenti attivati. In media gli altri paesi europei ne hanno la metà. 37sono i corsi di laurea con un solo studente. 323corsi di laurea non superano i 15 studenti iscritti. 20 sono le università italiane sull’orlo della crisi finanziaria. Negli ultimi 7 anni, però, sono stati banditi concorsi complessivamente per 13.232 posti da professore ordinario o associato, ma i promossi sono stati complessivamente 26.004. Nel 99,3 per cento dei casi sono stati promossi senza che ci fossero posti disponibili. Per coprire le nuove qualifiche i costi del personale sono aumentati di 300 milioni di euro.
I fondi per ogni studente attivo sono tra i più alti al mondo
Ad ogni inaugurazione di anno accademico i docenti battono cassa. Poi, andando a guardare a come vengono gestiti i soldi, emergono scandali clamorosi. Ma non solo: è falso l'assunto di partenza, cioè che le risorse a disposizione siano scarse. Secondo la Crui (conferenza dei rettori) infatti, mediamente gli atenei italiani dispongono di 7.723 dollari per studente, cifra che porrebbe l’Italia agli ultimi posti nel mondo. Le nostre università insomma, avrebbero dotazioni paragonabili a quelle di Messico o Ungheria, invece che a quelle degli altri Paesi del G7. Ma c’è il trucco. Perché se l'università è (quasi) gratis, si iscriveranno molte persone poco motivate, che poi non frequenteranno nemmeno le lezioni, men che meno daranno esami. Dunque, uno studente che in facoltà non mette piedi, non impegna risorse. I fondi delle altre università infatti sono calcolati sulla base dei soli Etp, gli «studenti equivalenti a tempo pieno». Insomma i soli studenti attivi. Il dato italiano, al netto da questo trucchetto da maghi da strapazzo, sale a 16.027 dollari, una delle cifre più alte al mondo, seconda solo a Stati Uniti, Svizzera e Svezia.
Il mito dei poveri ma bravi
Ma i ricercatori italiani sono davvero così poveri? Gli stipendi dei giovani sono davvero bassi, ma per effetto della progressione per anzianità, l'unica riconosciuta dall'università italiana, la media arriva a 48.300 dollari l’anno, contro la media di 46.000 dollari dell'Inghilterra. E il paragone con l'America è ancora più eclatante. Un ordinario italiano con 25 anni di servizio può raggiungere uno stipendio superiore a quello del 95% dei professori americani, indipendentemente dalle pubblicazioni scientifiche. La differenza è nella distribuzione degli stipendi: in Italia strapaghiamo l’anzianità di servizio, anche a chi, una volta assunto, non abbia all’attivo pubblicazioni scientifiche.
Università di Firenze: a lezione di vinsanto
Olio extravergine, Chianti classico, Vinsanto, Rosso toscano e grappa: roba di prima qualità quella con l’etichetta Villa Montepaldi. Prodotta con il sudore di esperti braccianti. E un po’ anche con quello di tutti noi. L’azienda agricola, difatti, è foraggiata con generosità dall’Università di Firenze, proprietaria di questi 40 ettari a San Casciano Val di Pesa. Utilità? Discutibile: l’ultimo avvistamento di uno studente alla “fattoria dell’università “, come la chiamano vezzosamente i professori, risale a qualche anno fa. E l’azienda è in perenne perdita, nonostante i milioni di euro versati dall’ateneo. Che, tra un buon bicchiere di rosso e un crostino intinto in olio pregiato, ha un deficit di almeno una settantina di milioni di euro che rischia di raddoppiare nel 2010. A Firenze si spendono praticamente tutti i finanziamenti statali per pagare il personale. Lo fanno in tanti. Le economie devono partire da lì. Eppure quest’anno l’università, nonostante la voragine in cui è cascata, ha già bandito 43 concorsi per ricercatore.
Università di Siena: centinaia di milioni di debiti
Negli ultimi anni, mentre l’ateneo accumulava passivi, sono stati aperti tre nuovi poli: a Colle Val d’Elsa, San Giovanni Valdarno e Follonica, che si aggiungono alla sede di Grosseto. E a quella di Arezzo: qui brillano i corsi di laurea in storia dell’antichità (tre iscritti) e in società, culture e istituzioni d’Europa (sette allievi). La gestione del vecchio rettore Tosi, in carica dal 2002 al 2005, ha lasciato 160 milioni di debiti. Periodo in cui il costo per il personale è aumentato costantemente, arrivando, tra docenti e amministrativi, a un dipendente ogni 3,9 studenti. In questa situazione, invece che proporre riduzioni della spesa, nell’ultimo anno sono stati stabilizzati 300 amministrativi e sono stati banditi concorsi per 43 ricercatori.
Università di Genova: assunzioni nonostante il deficit milionario
A Genova hanno assunti 34 di ricercatori, oltre a 17 professori. Peccato che l’anno scorso sia comparso un buco di 15 milioni di euro. La Corte dei conti sta indagando sulle cause.
Università La Sapienza di Roma: deficit ed assunzioni
Alla Sapienza il bilancio del 2007 è stato chiuso con 40 milioni di euro di deficit. L’ex rettore Renato Guarini, in carica fino a settembre 2008, aveva dunque annunciato un notevole contenimento della spesa per il personale. Il proclama si è tradotto in una nuova infornata di cattedre: 186 solo quest’anno.
Università dell’Aquila: corsi con solo otto iscritti
Per Ferdinando Di Iorio, rettore dell’Università dell’Aquila (in lizza per la candidatura a governatore abruzzese con la Sinistra arcobaleno) le proposte del Governo Berlusconi sarebbero un colpo mortale a coloro che riescono, nonostante tutto, a fare ricerca di eccellenza. Il suo ateneo, però spende il 95,5 dei finanziamenti statali per il personale e ha un disavanzo di 12 milioni di euro. Eppure non centellina: vanta un corso per infermieri ad Avezzano, un altro in economia del turismo a Sulmona e quello, più disgraziato, in ingegneria agroindustriale a Celano, con soli otto iscritti.
Università della Sicilia: medici di troppo
Anche al Policlinico dell’Università di Messina i conti non tornano da anni. Tanto che dal 2004 la Regione Siciliana non approva un bilancio. Il deficit è di 40 milioni di euro. Per metà dovrebbe essere ripianato dall’ateneo, che insiste a non mettere da parte 1 euro, anzi. Il sito dell’università annuncia le selezioni per 90 amministrativi. Il rettore, Francesco Tomasello, va avanti a bandire: 74 posti per docenti e ricercatori solo nel 2008. Vi è carenza di personale? Al contrario: per il ministero, solo nella facoltà di medicina ci sono 320 medici di troppo. Non insegnano né fanno ricerca, sono solo inutili, anche se vengono pagati lautamente, e la regione partecipa alle spese. Come accade all’Università di Enna, la Kore, quarto polo siciliano nato grazie all’attivismo del senatore del Partito democratico Mirello Crisafulli, leader elettorale della zona. Tutto privato, promisero i politici quando si trattò, nel 2004, di ottenere le dovute autorizzazioni. Lo Stato non ci metterà un soldo, ribadirono. Ma la regione sì: un contributo di 2 milioni l’anno. Poi c’è la provincia, con 800 mila euro. Altri 400 mila arrivano dalle esangui casse dei comuni di uno dei territori più poveri d’Italia.
Università della Basilicata: accumuli di debiti
È andata così all’Università della Basilicata. Nel 2005 è entrata in esercizio provvisorio: nelle casse non c’erano più soldi. Poi è intervenuta la regione: ha concesso 3 milioni di euro l’anno fino al 2007, saliti ora a 5. Qualche tempo dopo, a febbraio del 2008, il figliolo di un ex assessore della giunta lucana ha vinto un concorso da ricercatore nella nuova facoltà di economia.
Università di Napoli: esempio virtuoso
Alla Federico II di Napoli il rettore, Guido Trombetti, ha recentemente annunciato di avercela fatta da solo: L’ultimo bilancio è in perfetto pareggio. Il penultimo invece era in profondo rosso: 10 milioni di euro. Poi però è cominciata l’era del rigore, che si è tramutata in un aumento delle spese per il personale del 4,5 per cento. Risultato: l’università sborsa per i dipendenti più di quanto gli trasferisca lo Stato. Avanzano 11 milioni: le tasse pagate ogni anno dagli studenti. Ma per far funzionare il più elefantiaco ateneo del Meridione sembrano pochini. Invece bastano, addirittura avanzano, tanto da permettere di bandire quest’anno ben 37 concorsi per docenti e 54 per ricercatori.