Meglio i tecnici dei dottori in comunicazione

Libero Quotidiano di martedì 9 dicembre 2008
Intervista a Mariastella Gelmini - "Meglio i tecnici dei dottori in comunicazione"
di Dama Salvatore - Mariniello Ginmario
________________________________________
Il ministro e l'università «Meglio i tecnici dei dottori in comunicazione» La Gelmini boccia la proliferazione dei corsi di laurea: «Troppi sono distanti dal mondo del lavoro»

ROMA. L'appuntamento è nella sede del ministero dell'Università, all'Eur. Il centro storico è invaso dagli studenti che manifestano contro il governo. Lei, il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini, lavora. Serena. Sul tavolo, nel suo ufficio, le linee guida della prossima riforma, quella che cambierà il sistema universitario.

Ogni ministro dell'Istruzione si è dovuto confrontare con la piazza. Quali sono isuoi punti fermi, peri quali è pronta a sfidare la piazza?

Comprendo alcune preoccupazioni dei giovani, legate a un clima di incertezza e a una difficoltà nel trovare lavoro. Capisco il disagio dei giovani, ma credo che oggi per la prima volta dopo tanti decenni - una generazione ha meno opportunità rispetto a quella precedente. Io voglio voltare pagina. Per molti anni la scuola è stata utilizzata come un ammortizzatore sociale. La funzione educativa è scivolata in secondo piano, complice anche una certa cultura del 68 che ha fatto del 18 politico un elemento di falso egualitarismo. Oggi abbiamo il dovere di affrontare i problemi. Non vorrei farlo da sola. Ma con studenti, insegnanti e famiglie. Per non possiamo trincerarci o nasconderci dietro la penuria delle risorse, perché non è vero. Nella scuola noi spendiamo tanto quanto la Germania, ma nelle classifiche internazionali siamo agli ultimi posti. E lo stesso vale per l'università. Non compare una università italiana nelle prime 100 a livello internazionale. Quando poi si dice che la mia scuola guarda al passato perché riscopre il grembiule, il voto in condotta, lo studio della Costituzione, i voti o il maestro prevalente, io credo che dobbiamo intenderci: la serietà, l'impegno negli studi, il rispetto degli altri, la valutazione del comportamento, il rispetto per i professori, credo siano valori assolutamente attuali.

In Inghilterra, il 25 per cento delle risorse destinate all'Università viene assegnato ai singoli. Perché non importare questo modello?

Nel decreto 180 che ho presentato al Senato, per la prima volta allochiamo 500 milioni di euro sulla base della qualità della ricerca. Inauguriamo un principio: basta con le risorse distribuite a pioggia a tutti gli atenei. Una parte - il 7 per cento del fondo di finanziamento ordinario delle università - verrà utilizzato per premiare la qualità della ricerca.

L'obiettivo è arrivare al 30 per cento?

Si, è vero. In tal senso ho ripreso il lavoro dei miei predecessori. Il ministro Moratti, per esempio, aveva costituito il Civr, Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca, che aveva già predisposto una prima valutazione di tutti gli atenei di Italia. Ho intenzione di capitalizzare quel lavoro e distribuire i primi 500 milioni di euro sulla base di quegli indicatori, ai quali ovviamente se ne aggiungeranno altri, come ad esempio la capacità degli atenei di agevolare l'ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro.

Le tasse universitarie nel nostro Paese sono le pi basse di Europa. Saranno liberalizzate?

Voglio spiegare senza equivoci che non c'è nessuna volontà da parte di questo governo di elevare la contribuzione studentesca. Molti hanno interpretato la possibilità della costituzione di fondazioni universitarie come la volontà di scardinare il sistema pubblico, come tentativo di privatizzare l'università. Niente di pi falso. Il governo non vuole aumentare le tasse agli studenti.

Tanti economisti propongono di alzare le rette per responsabilizzare le famiglie di fronte alla scelta dell'università per i propri figli. Lei?

E’ un approccio prematuro. In questo momento è prioritario richiamare le università a un grande sforzo per impiegare meglio le risorse che hanno a disposizione Insomma, nessun aumento delle tasse.

Il 90 per cento dei[ fondi alle università va in stipendi. Come è possibile spostare le risorse dai baroni agli studenti?

Innanzitutto fermando il proliferare dei corsi di laurea. Noi ne abbiamo addirittura 5500 e l'avere oggi 170 mila insegnamenti dà l'idea di una offerta formativa da ripensare. Abbiamo un'università molto autoreferenziale, più calibrata sulle esigenze dei professori. Noi vogliamo mettere al centro gli studenti. Nel decreto legge riusciremo per la prima volta ad avere risorse sufficienti per dare una borsa di studio a tutti i ragazzi capaci e meritevoli. E abbiamo stanziato una prima somma per glii alloggi universitari.

La proliferazione (di atenei e sedi distaccate è un fenomeno da contrastare?

Abbiamo circa 320 sedi distaccate. E un'anomalia tutta italiana L'università sotto casa vuol dire un'università dove in genere si fa poca ricerca e quindi poco qualificata. Bisogna invertire il trend e razionalizzare. E ridistribuire le risorse risparmiate sulle residenze per gli studenti.

In Italia 8 laureati su 10 si inseriscono in contesti lavorativi totalmente differenti da quelli per i quali hanno studiato. Quanto è utile l'università italiana?

Intanto un dato, ancora più allarmante: il 50 per cento dei ragazzi che si iscrivono all'università non conseguono la laurea, neanche quella triennale. E spesso il titolo di studio non è garanzia di inserimento nel mondo del lavoro. Faccio un esempio: il moltiplicarsi dei corsi di laurea in comunicazione è quanto di più inutile ci possa essere. Mi batto per una scuola e una università che rispettino e garantiscano le aspettative degli studenti: chi si iscrive a un corso di laurea o a una scuola superiore si aspetta che al termine del proprio percorso quella laurea, quel diploma o quella qualifica siano spendibili nel mondo del lavoro. A tal fine intendo valorizzare molto anche l'istruzione tecnica e la formazione professionale accanto al sistema dei licei. Le imprese italiane ogni anno richiedono 200 mila professionalità tecniche, mentre la scuola italiana ne sforna 135 mila.

Altro problema: lo scarso flusso di informazioni riguardo i singoli atenei. In Italia non si sa quante persone lavorano dopo tre anni dalla laurea.

Per questo va potenziato l'orientamento. Nel rispetto della libertà di scelta di ogni ragazzo di iscriversi alla facoltà o al corso che preferisce, credo per che sia corretto informare gli studenti sulle diverse opportunità di lavoro susseguenti a una laurea e a un diploma piuttosto che ad un altro. Dobbiamo cominciare a sintonizzarci con le necessità del mondo del lavoro. Poi se una persona è portata per gli studi umanistici è giusto che pèrsegua quella strada, ma è corretto anche che sappia che avrà meno opportunità rispetto ad una laurea scientifica.

La manovra economica permette alle Università di trasformarsi in fondazioni. Che interesse possono avere i grandi atenei ad avvalersi di questa possibilità?

La proposta di consentire alle università di trasformarsi in fondazioni amplia semplicemente la facoltà di scelta, senza per questo essere un imperativo o un obbligo. Staremo a vedere: io so che alcuni politecnici stanno perseguendo questa strada. E vi dir , non sono né particolarmente entusiasta né particolarmente preoccupata: dico solo che nel nostro paese c'è troppa paura di cambiare. Paura immotivata.

Spesso si parla di fuga di cervelli. Una strada per incentivare le intelligenze italiane che si fanno valere all'estero non potrebbe essere la liberalizzazione degli stipendi dei docenti?

Dobbiamo procedere per gradi. Mi accontenterei in questa prima fase di puntare a un corretto utilizzo delle risorse in ragione del merito e della qualità della ricerca. Poi abbiamo iniziato anche un importante ricambio generazionale dentro le università: grazie al decreto 180 che allenta il blocco del turnover, le università saranno costrette a dare maggiori spazi ai giovani. Verranno assunti 4.000 ricercatori déntro l'università grazie al decreto che è stato approvato dal consiglio dei ministri. Sono molte le cose da fare, ma non si può farle tutte in poco tempo.

A proposito dei concorsi universitari non crede che una soluzione radicale, la loro abolizione, possa risolvere il problema delle clientele e del baronato all'interno degli atenei?

Intanto va detto che siamo intervenuti su concorsi già banditi e quindi il margine di manovra è stato molto limitato. Abbiamo concretizzato la nostra volontà di rendere trasparente la composizione e i criteri che presiedono alla composizione delle commissioni che valutano i candidati. In tal senso va la nostra scelta del sorteggio dei componenti la commissione esaminatrice. Avrei voluto eliminare anche la doppia idoneità ma non è stato possibile, perché ci sarebbe stato il rischio di esser travolti dai ricorsi.

Cosa ne pensa dei prestiti agli studenti? È uno strumento che può dare opportunità ai giovani che non sono “figli di” ?

Ho inserito i prestiti d'onore nelle linee guida. E ho già avuto alcuni incontri con importanti istituti di credito che si sono detti disponibili a finanziare questa tipologia di aiuto agli studenti.

E' favorevole alle università a numero chiuso?

Il problema della didattica è innanzitutto legato ad una cattiva organizzazione dell'università, pi che al numero chiuso. Occorre valutare anche l'edilizia universitaria per determinare la qualità della didattica. Abbiamo bisogno di considerare tutta una serie di parametri, perché se ci sono tanti iscritti in una facoltà è chiaro che la stessa facoltà dovrebbe accettarne un numero in funzione della qualità della didattica.

Abolizione del valore legale del titolo di studio: non pensa che, sia l'approdo naturale alla fine del percorso di riforma?

Se vogliamo immettere dosi di concorrenza nel mondo dell'università e se si vuole elevare la qualità media dell'istruzione terziaria, si arriverà all'abolizione del valore legale. E sinceramente credo sia mio strumento importante per migliorare il sistema.

Precari. Se ne parla tanto, si paventano epurazioni nel mondo della scuola. Come stanno le cose?

Ho ereditato mi numero di precari non definito ma certamente gigantesco, sia nella scuola che nell'università. E il frutto avvelenato dei tanti sì della politica. Sì che la politica non poteva permettersi. Eppure si è preferito continuare a bandire concorsi e promettere posti di lavoro a tutti, anziché calcolare il fabbisogno effettivo della scuola e della università in termini di risorse economiche e umane. Il risultato che queste persone - prese in giro dalla politica del passato - oggi si ritrovano in mano ben poca cosa, perché fare qualche supplenza, arrabattarsi dopo tanti anni senza avere garanzie vuoi dire creare precarietà. Il governo, con il ministro Brunetta e il ministro Sacconi, sta cercando di individuare delle soluzioni. Anche se assorbire tutto questo precariato è davvero una missione impossibile.

[09 dicembre 2008]