«Mi avete fatto lavorare anche voi...». A Villa Certosa Silvio Berlusconi cerca di rubare qualche ora di riposo agli impegni da premier che non conoscono vacanza. Ma c’è sempre di mezzo qualche telefonata, qualche incontro, qualche dossier da studiare. E qualche intervista. Come questa, con cui il presidente del Consiglio anticipa al «Giornale» un po’ del suo (e del nostro) 2009.
Presidente, cominciamo dalla crisi economica. Lei ripete spesso che la durata della crisi dipende dalla reazione dei cittadini: meno si lasciano spaventare meglio è. La crisi è indiscutibile, ma è vero che la riduzione del prezzo del petrolio fa diminuire i costi e dunque aumenta il potere d’acquisto delle famiglie. Qualche ministro ha detto che nel 2009 le famiglie avranno a disposizione fino a 3000 euro in più. Le sembra una cifra eccessiva?
«Credo che il vantaggio sarà anche più elevato. Ma prima di addentrarci nei calcoli, vorrei ricordare che fin dall'inizio della crisi economica il governo italiano ha fatto tutto ciò che era nei suoi poteri per garantire la liquidità necessaria affinché le banche continuassero a fare le banche, mantenendo i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, e ha dato la propria garanzia perché nessun cittadino perdesse un solo euro dei suoi depositi in banca. È una linea che hoindicato per primo nel panorama internazionale il 10 ottobre, e che ho poi sostenuto nei vertici che si sono tenuti a Parigi, a Bruxelles e a Washington, convincendo tutti i capi di governo dei Paesi industriali a farla propria».
Anche gli Stati Uniti?
«Certo. Anche gli Stati Uniti. All’inizio avevano consentito il fallimento della Lehman & Brothers e di altre due banche, ma poi si sono ispirati a noi quando hannocambiato strategia e varato il piano Paulson di 700 miliardi di dollari per evitare altri fallimenti bancari».
Ma torniamo ai comportamenti dei consumatori...
«Sì, come dicevamo ora la profondità e l’estensione della crisi sono nelle mani dei cittadini consumatori: se riducono gli acquisti, le imprese dovranno a loro volta diminuire la produzione e, in qualche caso, mettere in cassa d’integrazione i dipendenti, dando vita a un circolo vizioso che potrebbe risultare molto rischioso».
Dunque?
«È proprio per evitare questo rischio che ho invitato ed invito tutti, soprattutto il ceto medio e coloro che non rischiano il posto come ad esempio gli impiegati pubblici, a non modificare il proprio stile di vita, a non dare ascolto alla canzone del pessimismo e del catastrofismo che ogni giorno viene cantata dalla sinistra. Tanto più che nel 2009, quasi a compensare gli effetti della crisi, il calo delle materie prime e quello del costo del denaro consentiranno dei risparmi significativi alle famiglie».
Adesso possiamo addentrarci nei calcoli?
«Sicuro. Il calo del greggio, che l’estate scorsa sfiorava i 150 dollari al barile mentre ora è di poco sopra i 33 dollari, significa che nel 2009 ci sarà un risparmio medio di oltre mille euro per ogni italiano, grazie al minore costo del pieno dell’auto e delle bollette della luce e del gas. Se poi consideriamo che l’euribor, che è il costo del denaro tra le banche su cui si calcolano le rate dei mutui variabili, è sceso dal 5,4di settembre al 3,1 per cento, avremo anche un minore costo per chi deve pagare le rate di un mutuo. Anche l’indice degli alimentari di base, calcolato in dollari, scenderà da 170 a quota 90-100. In totale, sommando i vari risparmi possibili, ogni famiglia potrebbe trovarsi nel 2009 con un bonus di oltre mille euro per componente...».
Mille euro per componente...
«E questa somma andrà ad aggiungersi al pacchetto di misure decise dal governo per tutelare le fasce sociali più disagiate, tra cui ricordo la carta acquisti di 40 euro al mese e il bonus famiglia da 200 a mille euro».
Anche il popolo della partita Iva è in una fase di sofferenza.
«Le piccole e le medie imprese erano molto preoccupate per il flusso del credito. Per questo siamo intervenuti per rafforzare i Confidi, più altre misure,comela riduzione dell’Irap, la sua detraibilità dall’Ires e la revisione degli studi di settore per aziende e professionisti».
Che cosa pensa dell’equiparazione dell’età pensionabile fra uomini e donne proposta dal ministro Brunetta?
«Non si tratta di una proposta del ministro Brunetta, bensì di una richiesta europea. Il 13 novembre 2008 la Corte di Giustizia europea ha condannato l’Italia perché la norma oggi in vigore, ovvero l’anticipazione dell’età per la pensione di vecchiaia delle donne (60 anni) rispetto a quella degli uomini (65), costituisce - a parere della Corte di Giustizia europea - una discriminazione a scapito delle donne. Per porvi rimedio, l’Italia ha 60 giorni di tempo, anche se il termine del 13 gennaio 2009 non ha natura perentoria. È tuttavia pacifico che, in caso di mancato adeguamento, la Commissione europea aprirà una procedura di infrazione contro l’Italia, con l’applicazione di sanzioni economiche piuttosto ingenti. Non è dunque praticabile l’ipotesi di lasciare senza esecuzione la sentenza».
E nel merito?
«Nel merito, trovo completamente fuori luogo le critiche di chi ha intravisto qualcosa di punitivo per le donne. Penso che la parificazione dell’età pensionabile delle donne si potrà fare in modo graduale e volontario. E questo sarà certamente gradito a molte donne che, non volendo chiudersi dentro casa, decideranno di lavorare più a lungo, magari anche ricorrendo al “part time”, perché più anni di contributi previdenziali alla fine si traducono in una pensione più sostanziosa».
Non pensa che sarebbe opportuna anche la riforma delle pensioni per liberare risorse da dedicare agli ammortizzatori sociali?
«Già in campagna elettorale avevamo escluso di intervenire di nuovo sulle pensioni, anche se c’era un buon motivo per farlo. Il governo Prodi, per tenersi buoni i sindacati, aveva infatti manomesso la nostra riforma per eliminare il cosiddetto “scalone”, con un costo di 10 miliardi di euro per il bilancio pubblico. Si tratta di un onere ingente, del tutto ingiustificato se si pensa che serve per mandare in pensione chi ha appena 58 anni ed ha davanti a sé una aspettativa di vita di almeno altri 20 anni».
Anche di più, presidente. Non puntiamo forse a vivere fino a 120 anni ormai?
«Di sicuro con i progressi della medicina, l’aspettativa di vita è destinata a salire ancora di più, fino forse a raggiungere nel 2050 i 120 anni: è una previsione del centro di medicina “predittiva” del mio amico don Verzé, condivisa anche dall’ufficio studi della Banca d’Italia che ha dedicato a questo tema uno studio recente».
La crisi può anche essere l’occasione per riforme importanti. A quali, oltre a quelle già fatte, pensa che si possa mettere mano?
«È il momento giusto per fare riforme che non incidono drammaticamente sui costi pubblici, come quella della giustizia, del processo civile e di quello penale, oltre che delle intercettazioni telefoniche. Grazie a queste riforme l’Italia potrà avere grandi benefici sul piano della modernità, ma anche sotto il profilo economico. Oggi i tempidella giustizia civile sono incompatibili con qualsiasi attività economica. Cinque anni per ottenere un pagamento legittimamente dovuto, altrettanti per una causa di lavoro, otto anni per un fallimento: sono ostacoliche scoraggiano molte imprese straniere a investire in Italia. Per questo abbiamo subito messo mano alla riforma del processo civile, che è già stata approvata da un ramo del Parlamento».
Ma le novità non si fermano al processo civile...
«No, certo. All’inizio nel nuovo anno, nella prima seduta del Consiglio dei ministri, presenteremo anche la riforma della giustizia, per separare gli ordini dei magistrati giudicanti da quelli dei pubblici accusatori: questi ultimi, che chiameremo “avvocati dell’accusa” dovranno avere gli stessi doveri e gli stessi diritti degli avvocati della difesa. Solo così il giudice sarà veramente “terzo”, con un concorso e una carriera diversa da quella dei pm, e potrà garantire ai cittadini un giusto processo. Quanto alle indagini, restituiremo alla polizia giudiziaria il ruolo che aveva sino al 1989 mentre ora l’iniziativa è interamente nelle mani dei pm, che sono di fatto sottratti a ogni controllo, con conseguenze devastanti. Come tutti hanno potuto constatare anche nella recente contesa tra le procure di Salerno e di Catanzaro».
E per le intercettazioni?
«Dovranno essere consentite solo per le indagini riguardanti i reati più gravi, per quelli con pene previste sopra i 15 anni, come il terrorismo internazionale e il crimine organizzato di stampo mafioso. L’abuso delle intercettazioni come reti a strascico per acquisire notizie di reato con in più il consueto teatrino mediatico-giudiziario che viola un diritto primario dei cittadini come la privacy emette in piazza tutto ciò che si dice al telefono, anche quando non ha alcuna rilevanza penale, dovrà cessare una volta per tutte. Non c’è vera democrazia in un Paese in cui i cittadini non possono esprimersi liberamente al telefono senza il timore di essere intercettati».
Preferirebbe avere sindacati uniti, quindi trattare anche con la Cgil di Guglielmo Epifani, o pensa sia meglio fare accordi solo conCisl e Uil e Ugl?
«L’unità dei sindacati non dipende dal governo, questo è ovvio. Così come è pacifico che il governo è sempre aperto al dialogo con tutte le parti sociali. Ricordo come esempio il caso Alitalia, dove la Cgil prima ha agito in simbiosi con la sinistra per ostacolare l’accordo e poi, resasi conto della impopolarità del suo comportamento, si è seduta al tavolo con gli altri sindacati ed ha contribuito al successo dell’accordo che ci ha permesso di conservare una nostra compagnia di bandiera, fondamentale per il nostro turismo e per la nostra economia. Un esempio di segno opposto. Tutti i sindacati, esclusa la Cgil, hanno sottoscritto il rinnovo del contratto del pubblico impiego, che riguarda 3,6 milioni di addetti ed ha un peso salariale sull’economia del Paese pari a quello dell’industria. Qui è stata la Cgil ad autoescludersi dalla firma. Ma è probabile che poi, di fronte al risultato ottenuto dai lavoratori pubblici in un momento di crisi, un aumento di 70 euro al mese, il vertice della Cgil si sia reso conto dell’errore. Noi andiamo avanti con una regola molto semplice: lo Stato deve fare lo Stato in ogni frangente, non solo sul fronte dei rifiuti comea Napoli e in Campania, ma anche in campo sindacale. Ciò significa che il governo prima illustra le sue proposte alle parti, poi ascolta le loro richieste e alla fine decide. Il ricatto permanente non deve più funzionare».
L’evasione fiscale è ancora troppo alta in Italia?
«Sì ed è uno dei problemi più seri che dobbiamo risolvere. Tutte le stime concordano nel valutare l’economia sommersa intorno al 20 per cento del Pil, cioè 300 miliardi di euro, con un’evasione fiscale annua di circa 100 miliardi. Il fenomeno è diffuso al di là di ogni immaginazione. Di recente mi è stata avanzata l’offerta di acquisto di una pianta rara per il mio parco botanico in Sardegna. Il prezzo era di 50mila euro senza fattura, e di 100mila euro con la fattura. Se si arriva a questo punto di sfrontatezza quando c’è di mezzo il Presidente del Consiglio, significa che questa prassi è ritenuta addirittura normale. Ebbene, penso che il federalismo fiscale ci darà un grande aiuto per sconfiggere questo malcostume, perché i Comuni saranno coinvolti nell’accertamento dei redditi dichiarati. E per molti contribuenti troppo furbi sarà più difficile dichiarare il falso nei confronti di chi conosce il loro stile di vita».
Le dispiace non poter tagliare le tasse quanto vorrebbe?
«Sono certo che entro la fine della legislatura la rivoluzionaria innovazione che abbiamo introdotto con la legge finanziaria per tre anni, inattaccabile dalle lobbies parlamentari, darà i suoi frutti e ci consentirà di far scendere la pressione fiscale. Per fortuna abbiamo messo in sicurezza i conti pubblici prima dello tsunami finanziario, impostando una politica che prevede il pareggio di bilancio per il 2011, mentre ora siamo in presenza di un debito pubblico pari al 106 per cento del pil. È una brutta eredità ricevuta dai governi del passato che riuscirono nella straordinaria impresa di moltiplicare per otto volte il debito pubblico al fine di soddisfare le loro clientele. Dobbiamo anche ridurre drasticamente il costo della macchina statale se vogliamo ridurre la pressione fiscale. Oggi la nostra Pubblica amministrazione costa a ogni cittadino italiano 4.500 euro contro i 3mila e 300 che pagano in media gli altri cittadini europei. Si deve quindi riorganizzare dal profondo la nostra Pubblica Amministrazione digitalizzando ogni servizio sia a livello centrale che locale».
Ma in concreto che cosa farà il governo in questo campo?
«Entro il 2012 prevediamo l’abolizione totale della “carta” nella Pubblica amministrazione. Ogni pratica sarà digitalizzata con l’eliminazione delle code agli sportelli e con la possibilità di operare per tutti dalla propria casa o dal proprio ufficio attraverso il computer e internet e ogni cittadino sarà dotato di una propria casella di posta elettronica pe ri rapporti con la Pubblica amministrazione».
Lei è d’accordo che sia necessaria una politica di rigoroso rispetto dei parametri di Maastricht?
«Stiamo seguendo una linea di politica economica che punta a risolvere i problemi senza creare nuovo debito. Sul piano teorico l’Unione europea si è dichiarata disposta a tollerare uno sconfinamento di un punto dei parametri di Maastricht. Ma questo non sarebbe tollerato per chi, come l’Italia, ha già un debito superiore al proprio Prodotto Interno. Un ulteriore appesantimento di questo debito sarebbe giudicato come un ostacolo per la stabilità dell’euro, che è una moneta comune».
Come si è mossa, secondo lei, l’Europa di fronte alla crisi? E come si muoverà?
«I governi dei maggiori Paesi si sono mossi in modo coordinato. E la presidenza di turno del presidente Sarkozy, con il suo dinamismo e la sua franchezza, si è rivelata decisiva per la fluidità dei rapporti sia istituzionali che personali. È stato anche grazie all’amicizia che mi lega al presidente francese da molti anni che nell’ultimo vertice abbiamo potuto raggiungere un’intesa sul “pacchetto ambiente” ed evitare che le imprese italiane fossero gravate di un costo insopportabile specie in questa situazione di crisi annunciata».
Lei è sempre stato un liberale convinto. Pensa che ci sia il rischio, di fronte alla crisi, di un eccesso di interventismo statale nell’economia?
«Gli interventi degli Stati in questa circostanza non mettono in discussione i principi della libertà di mercato. Rimettere in moto gli investimenti nelle opere pubbliche, come abbiamo fatto varando il pacchetto da 16,6 miliardi di euro per riaprire i cantieri delle grandi infrastrutture strategiche, giova a tutti, specie all’impresa privata. Mi sembrano decisioni di assoluta necessità e di assoluto buon senso».
Parliamo dell’opposizione. Con Veltroni il dialogo è impossibile?
«Quando si vuole il dialogo, non si insulta l’interlocutore ogni giorno. Se mi sedessi a un tavolo con chi mi paragona ad Hitler o a Videla, con chi mi accusa di essere fautore di un regime, di non conoscere le regole della democrazia, sarebbe davvero un teatrino ipocrita, assolutamente inaccettabile. Il Veltroni del Lingotto che dichiarò la fine dell’antiberlusconismo, della politica come guerra a una sola persona, è un miraggio che non esiste più, e che forse non è mai esistito. Ora c’è solo un personaggio, sempre meno ascoltato dai suoi stessi compagni di partito, che si è consegnato a Di Pietro e ha fatto propria la sua mentalità giustizialista in un abbraccio che si sta rivelando mortale per il Partito Democratico. Come si è visto bene in Abruzzo, il Pd con la politica dipietrista dell’insulto ha perso molti consensi. Con gente simile, io non potrò mai sedermi ad alcun tavolo. Altra cosa sono i rapporti in Parlamento tra i gruppi. Se l’opposizione dovesse presentare suggerimenti di buon senso nell’interesse del Paese, sono sicuro che la nostra maggioranza non potrebbe che condividerli».
Con la tangentopoli delPd è caduto un altro muro?
«Sono sempre stato garantista con tutti, specialmente nei confronti dei nostri avversari politici. Ho anzi espresso pubblicamente l’augurio che le accuse si potessero ridimensionare. Non entrerò mai nel merito di accuse che attendono ancora tre gradi di giudizio. So bene per esperienza diretta che certe accuse sollevano grandi polveroni mediatici, per poi finire in niente. Però è certo. La sinistra pensava di essere “diversa”, di avere una sorta di monopolio dell’etica. Non è mai stato vero nel passato, non è vero oggi».
Crede anche lei che dietro la nuova tangentopoli ci sia la mano di Di Pietro?
«Nonsonounesperto di complotti e non ho informazioni tali da poter esprimere giudizi su un’ipotesi comequesta. So però che in Italia ci sono duemila pm fuori da ogni controllo. Affermare che ora sono pilotati da Di Pietro mi sembra una sciocchezza assoluta».
I suoi rapporti con Bossi sono sempre saldi e ormai al di fuori da ogni discussione. Ma c’è qualche presa di posizione della Lega che avrebbe volentieri evitato?
«Confermo la mia solida amicizia con Bossi. I giornali, come spesso accade, si sono inventati una polemica che non esiste e hanno messo in contrapposizione una mia dichiarazione sul presidenzialismo con una di Bossi sul federalismo. Non c’è nessun contrasto tra me e Bossi, perché proprio il leader della Lega Nord è stato il primo nel 2002 a dichiarare che il presidenzialismo e il federalismo fiscale sono due facce della stessa medaglia. E non potrebbe essere diversamente: al decentramento di tanti poteri deve corrispondere un rafforzamento del potere centrale come garanzia dell’unità nazionale».
Solo colpa dei giornali? Oppure la Lega è in cerca di visibilità?
«I fatti sono questi. In occasione della conferenza stampa di fine anno, l’ultima domanda che mi è stata posta riguardava l’architettura istituzionale e il presidenzialismo, temi ai quali non avevo neppure fatto cenno nelle precedenti due ore di conferenza. Ho risposto, e non poteva essere diversamente visto che l’avevo già dichiarato in passato, che siamo a favore di un presidente della Repubblica eletto dal popolo e di una architettura istituzionale che rafforzi il premier italiano, con gli stessi poteri dei suoi colleghi europei, a cominciare dal potere di revoca dei ministri. Ma ho anche precisato che ora ci sono altre urgenze e che quindi se ne sarebbe riparlato più avanti nel corso della legislatura, sempre che sul tema si fosse trovato l’accordo di tutte le più importanti forze politiche. Queste parti della risposta sono state assolutamente ignorate e sui giornali del mattino dopo il presidenzialismo è diventato il tema principale della conferenza stampa di fine anno e di una polemica inesistente con la Lega. L’ennesima disinformazione da parte di quei giornali che non si fanno scrupolo di prendere in giro i loro lettori».
Siamo ancora lontani, ma c’è chi inizia a fare un parallelo tra la presidenza della Camera di Casini e quella di Fini. Di certo, per il momento c’è chein più d’una occasione il leader di An ha marcato la differenza con lei che non ha mancato di replicare. Anche Fini, come ha fatto Casini, sta guardando già al futuro?
«Fini si sta mostrando nei fatti un presidente della Camera equilibrato e competente. Casini più che guardare al futuro mi sembra preso dalla nostalgia di un passato democristiano che non tornerà più. Non vedo davvero nessuna possibile analogia tra il comportamento di Fini e quello di Casini».
Come procede, a suo modo di vedere, il Pdl?
«In dicembre, in soli duefine settimana, ai gazebo del Popolo della Libertà si sono presentati più di 5 milioni di italiani per scegliere i delegati ai congressi locali che devono preparare il congresso nazionale. Si tratta di un successo fantastico, frutto di un entusiasmo che conferma la forte identificazione di molti italiani nel nostro nuovo movimento politico. I nostri elettori senza le tessere di partito e le altre bardature dei vecchi partiti, si sentono una nuova realtà unitaria, con una identità forte, che ha lasciato da tempo alle spalle gli stessi partiti dai quali il nuovo soggetto politico è nato».
Torniamo alla politica internazionale, il terreno sul quale lei s’è più impegnato. E dove ha ottenuto risultati più clamorosi. È stato più complicato affrontare la crisi fra Russia e Georgia o quella economica?
«È vero, la politica internazionale ha rappresentato più del 50 per cento del mio impegno come premier. In questi sette mesi ho incontrato 57 leader stranieri in missioni bilaterali. Ho partecipato a 7 vertici internazionali. A questi si devono aggiungere ben 4 Consigli Europei. Insieme a diversi nostri ministri ho anche preso parte a 6 vertici bilaterali con Egitto, Romania, Russia, Brasile, Turchia e Germania ed ho effettuato una visita all’estero quasi con cadenza settimanale. Quanto alla crisi tra Russia e Georgia abbiamo cercato di favorire un ripensamento delle decisioni assunte dai vertici russi che erano fermamente intenzionati ad arrivare a Tbilisi per punire il premier georgiano. Al confronto, la crisi economica scoppiata dopo lo tsunami finanziario è stata certamente un fatto preoccupante, ma non così catastrofico come il rischio di un brusco ritorno alla guerra fredda. Per questo mi sto impegnando perché tra gli Stati Uniti e la Federazione russa si ritrovi lo spirito di Pratica di Mare, che pose fine a più di 50 anni di guerra fredda tra Est eOvest. Come presidente di turno del G8 nel 2009 farò tutto il possibile perché il presidente Obama e il presidente russo Medvedev tornino al dialogo, superando una contrapposizione dannosa per il mondo intero. L’arsenale atomico russo è tuttora in grado di distruggere dieci volte la popolazione mondiale; quello americano venti volte».
Ha citato Obama. Cosa si aspetta dalla nuova presidenza e come pensa di impostare il rapporto con un uomo molto diverso dal suo predecessore?
«La forte alleanza con gli Stati Uniti e la Nato, insieme al fatto che siamo un Paese fondatore dell’Europa unita, sono da sempre i capisaldi della nostra politica estera. Su queste basi penso che l’Italia avrà con la presidenza di Obama un rapporto di collaborazione e di amicizia altrettanto forte di quello avuto con i suoi predecessori Clinton e Bush, che ho conosciuto di persona e con i quali ho stabilito solidi rapporti
di stima e di amicizia».A proposito di rapporti, passata la bufera, come sono attualmente i suoi rapporti con Murdoch?
«C’è un proverbio che dice: si cambia casa, non gli amici. Ecco, Murdoch è un vecchio amico e ha capito meglio di altri che sull’Iva da applicare alla tv satellitare a pagamento non potevamo sottrarci al diktat dell’Europa. Dovevamo renderla uguale a quella degli altri media audiovisivi per evitare all’Italia una procedura d’infrazione».
Il 2009 sarà l’anno in cui per la terza volta - un record assoluto - presiederà il G8. Crede che sia ancora attuale e quali aiuti può dare per quanto riguarda la crisi economica?
«Dopo le cattive prove date dalle istituzioni finanziarie internazionali, il G8 è diventato sempre di più l’organismo per il governo dell’economia mondiale. A differenza del G20, che si limita a registrare le decisioni degli sherpa senza neppure un giro di tavolo dialettico tra iministri, il G8 è un foro internazionale che può assumere delle decisioni cui si obbligano i singoli partecipanti. È per questo che la riunione del prossimo G8 che si svolgerà a La Maddalena avrà una grande importanza per l’economia mondiale. Su mia proposta, dopo il primo giorno, in cui si terrà il vertice degli 8 leader, si svolgerà un G14 al quale sono invitati i Paesi delle nuove economie come la Cina, l’India, il Sudafrica, il Brasile, il Messico e l’Egitto. Successivamente la riunione si allargherà anche ad altri Paesi e al rappresentante dell’Unione europea, cioè al G20. I temi che discuteremo nel G8 e nel G14 dovranno essere preparati dalla presidenza con incontri bilaterali. Per questo nei prossimi mesi dovrò presumibilmente fare visita a ciascuno dei leader che a luglio verranno a La Maddalena. Insomma, mi aspetta un’agenda fitta di missioni internazionali».
Siamo alla fine, presidente. Ma ci resta una curiosità. Abbiamo parlato della vita fino a 120 anni. Ma lei pensa anche di restare in politica fino a 120 anni?
«La politica non mi affascina. Ma amo l’Italia, il Paese in cui sono nato e cresciuto, il Paese che non desidero sia governato da una sinistra illiberale e colpevole di avere causato gravi ritardi alla crescita della nazione. Per questo svolgo l’attuale ruolo politico e di governo per senso di responsabilità, poiché sono l’unico che può tenere insieme tutte lecomponenti che si riconoscono nel Popolo della Libertà. Mi auguro che fra quattro anni e mezzo dalle file del nostro partito esca un leader giovane e preparato, pronto a raccogliere un’eredità che sarò lieto e orgogliosodi affidargli, soprattutto se nel frattempo sarò riuscito nell’impresa di ammodernare l’Italia in tutti i comparti, dalla Pubblica amministrazione alla giustizia, dalla scuola alle infrastrutture, e di averne fatto una democrazia moderna e bipartitica, con due grandi partiti in gara per il bene dell’Italia, un presidente eletto dal popolo, una sola Camera legislativa con meno parlamentari e un premier con gli stessi poteri dei suoi colleghi europei».
Mario Giordano
[31 dicembre 2008]