Articolo di Massimo Martinelli pubblicato da "Il Messaggero" il 5 giugno 2008
Giustizia, un terzo delle spese è per le intercettazioni Italia al primo posto nel mondo: spende 280 milioni di euro l’anno per “ascoltare” le telefonate
La cifra tonda, a sentire i tecnici del ministero di Giustizia, adesso sfiora i 280 milioni di euro l’anno. Per fare che? Intercettazioni, ovviamente. Ad Angelino Alfano, Guardasigilli da due mesi, il dato non poteva sfuggire e ieri ha annunciato che presto ci sarà una nuova legge. Anche perché, come ha riferito ieri in Parlamento, quei 280 milioni rappresentano un terzo delle spese di giustizia che il suo ministero affronta ogni anno. La quale cosa, messa insieme alla relazione del suo capo dell’Organizzazione giudiziaria Claudio Castelli (che segnala il rischio di chiusura di alcuni tribunali entro il 2009 per carenza di fondi) assume una valenza decisamente inquietante.
Ancora più inquietante è seguire il percorso di quei milioni: un terzo almeno finisce in tasca ai gestori telefonici. Che, non si sa bene per quale motivo, vengono pagati “a cottimo”, cioè ad ogni intercettazione. Mentre, tanto per guardarci intorno, lo stesso servizio in Germania viene pagato “a forfait”; cioè si stipula un contratto e si paga sempre la stessa cifra, sia che vengano effettuate dieci intercettazioni, sia che ne vengano effettuate cento.
C’è da aggiungere anche che solo in Italia i magistrati largheggiano in questa maniera con le microspie nei telefoni: il fenomeno è stato segnalato da tempo dall’istituto internazionale tedesco Max Planck, che già nel 2006 avvisava che l’Italia era in assoluto il paese in cui venivano disposte più intercettazioni: 72 ogni 100mila abitanti. L’Olanda è al secondo posto con 62 intercettazioni, mentre al terzo posto c’è la Svizzera, con 32 intercettazioni ogni centomila cittadini. Per completezza, il Max Plank evidenzia pure che, nonostante il largo utilizzo di questo strumento investigativo, l’Italia conserva un elevatissimo tasso di criminalità organizzata, con intere regioni che sono ancora sotto il controllo di associazioni del crimine organizzato. L’unica statistica che nessuno si sogna di fare, infatti, è quella sul raffronto tra i soldi spesi per un’indagine a suon di intercettazioni e l’esito di quello stesso procedimento. In altre parole, manca completamente un controllo di congruità sui costi che ogni magistrato può decidere di affrontare, facendo affidamento sulle casse dello Stato. E probabilmente se ci fossero tabelle del genere, anche solo per fini statistici, alcune procure si stancherebbero di vedersi citate nella classifica delle inchieste più costose che non hanno portato a nulla. Basta ricordare le inchieste su Vallettopoli, o sulla vicenda Why Not; costruite ricorrendo al massiccio utilizzo di intercettazioni telefoniche e poi finite in gran parte con l’archiviazione.
Eppure, nonostante che ad ogni inaugurazione dell’Anno Giudiziario ci sia qualcuno che puntualmente lancia l’allarme sui costi esorbitanti, non succede nulla. Basta guardare i dati ufficiali del ministero della Giustizia: 308 milioni spesi nel 2005 mentre è andata meglio nel 2006, quando la cifra ha sfiorato 230 milioni. A proposito, il Max Planck ha voluto fare i conti del Grande Orecchio anche oltreoceano: 0,5 intercettazioni ogni centomila abitanti. Addirittura meno di quante ne vengono effettuate nel più sobrio paese europeo, l’Austria, con 9 telefonate intercettate ogni centomila abitanti. Ma forse, eccepirà qualche 007, il conteggio del Max Plank non tiene conto dei sistemi di spionaggio nel paese a “stelle e strisce”, come Echelon o Carnivore. Ma questa è un’altra storia.