Il G8 presieduto da Silvio Berlusconi è stato un successo totale. E non solo perché l’Italia è stata un eccellente padrone di casa, né perché ha saputo imporre all’attenzione del mondo il dramma dell’Aquila. È stato un successo anche, e soprattutto, sul piano dei contenuti, della politica internazionale. Perfino nel guidare e nell’annunciare la sua prossima trasformazione in G14, un formato allargato che includerà le economie emergenti e le nuove potenze mondiali: Cina, India, Brasile, Messico, Sud Africa, Egitto.
Un successo in quanto, per la prima volta, alle enunciazioni di principio si accompagnano impegni e scadenze concrete: sulle nuove regole per il controllo della finanza mondiale, per evitare altre crisi economiche come quella attuale, che verranno definitivamente finalizzati in autunno a Pittsburgh; sull’accordo per il completamento nel 2010 dei negoziati sulla liberalizzazione del commercio, una questione che si trascinava da otto anni; sull’atteggiamento comune da tenere nei confronti di Iran e Corea del Nord, nuove potenze nucleari e minacce alla pace, e l’annuncio da parte di Berlusconi che all’inizio del prossimo anno Barack Obama riunirà intorno a un tavolo tutti i paesi detentori di armi atomiche. Altro risultato storico.
Sugli aiuti ai paesi affamati, ed anche sul clima, dove c’è sì l’opposizione di India e Cina, ma anche il riconoscimento da parte di queste due potenze che la guida e la mediazione italiana ha consentito che si avvii un negoziato concreto, non che si consumasse una rottura. La logistica, l’organizzazione, l’amicizia, quel feeling che spesso alcuni commentatori di casa nostra si ostinano a dipingere come stereotipi tipo spaghetti e mandolini (vedere per esempio l’articolo a pagina 9 sul Corriere della Sera, che pure assieme al Sole 24 Ore ha fornito le cronache e le opinioni più autorevoli ed equilibrate) sono stati impeccabili e in molte occasioni hanno risolto situazioni spinose.
Non parliamo della sola accoglienza, ma di fatti sostanziali: la stretta di mano tra Obama e Gheddafi; la presenza dell’Egitto, invitato da Berlusconi, che una settimana fa aveva ricevuto l’israeliano Netanyahu; quella della Turchia, che ambisce ad entrare nell’Unione europea superando le resistenze francesi. Tutte queste esigenze erano presenti e rappresentate all’Aquila, l’agenda italiana non ha trascurato nulla, inserendo iniziative ideate e gestite dal nostro governo.
Con buona pace di quanti ci volevano “fuori dal G8”, sono giunti riconoscimenti non rituali dai leader mondiali – da Obama a Sarkozy, dal segretario generale dell’Onu (“Organizzazione superba” ha detto Ban Ki-moon), dal presidente dell’Organizzazione mondiale per il Commercio Pascal Lamy. Non si tratta né di passerelle né di pacche sulle spalle. Se un governo è forte e autorevole sulla scena mondiale, e riesce a gestire contemporaneamente questioni diverse e complesse, è perché ha una grande credibilità interna. E se ha il riconoscimento della comunità internazionale, la sua autorevolezza nel gestire gli affari di casa aumenta a sua volta.
Come è noto, Berlusconi si è presentato a questo summit bersagliato da una campagna di discredito personale, con intrusioni mai viste nel privato, che miravano ad approfittare del G8 per dargli la famosa “scossa”. Ciò che non era riuscito nei due turni elettorali, nei piani della sinistra politico-mediatica, doveva andare a segno appunto all’appuntamento del grandi della Terra.
La campagna è andata avanti per settimane, con aspetti anche grotteschi, con ricostruzioni e retroscena inventati (come quello del Guardian), con minacce di rivelazioni fasulle. Uno stillicidio partito dall’Italia, rimbalzato all’estero presso la “stampa amica”, tornato in Italia. Incurante del bene del Paese e soprattutto della verità, l’operazione è clamorosamente naufragata rivelandosi come al solito un boomerang.
Tanto peggio tanto meglio?
La linea del “tanto peggio tanto meglio” non ha mai portato fortuna a chi l’ha praticata. Oggi, in una situazione di forte difficoltà per il mondo dell’informazione, rischia di rivelarsi ancora più deleteria. Alla gente, a cominciare dai lettori di sinistra, è stata descritta una realtà. Ne hanno vista e verificata una completamente opposta, e non a detta di Berlusconi e del suo governo, ma dei leader mondiali da Obama in giù. Che opinioni si sono fatti questi lettori e questi elettori di chi li informa? Di quei capi del Pd – D’Alema, per esempio – che avevano annunciato scosse imminenti?
Sarebbe utile porsi queste domande. Sarebbe utile, soprattutto, che se le ponesse chi la campagna ha cercato di orchestrarla. Invece persistono, con una tenacia che fa quasi sorridere, con una credibilità ridotta al lumicino. Ieri l’inviato di Repubblica ha posto l’ultima domanda della conferenza stampa con la quale Berlusconi, a nome degli altri leader, ha riassunto i risultati del G8. La domanda era piuttosto surreale. In sostanza: ci avete accusato di voler rovinare l’immagine dell’Italia, ritiene che veramente questa immagine sia stata rovinata dalla stampa italiana? La risposta di Berlusconi è stata lapidaria: “Non avete raggiunto il risultato che volevate. Auguri”.
Perché la domanda era surreale? Per due motivi.
La risposta è devastante, ed il direttore del quotidiano lo sa benissimo. Se qualcuno vuole una conferma di quanto sopra, basta leggersi il corsivo di quel direttore sulla prima pagina di oggi. È intitolato significativamente “L’ossessione” ed è roba da psicanalisti. L’ossessione che attribuiscono al premier è infatti la loro ossessione. Un transfert, dunque. Che non per nulla si conclude con l’ennesima minaccia: “Se Berlusconi pensa che i sette grandi si portino via dall’Aquila anche i suoi problemi, si inganna”. Come quelle squadre che retrocesse in serie B danno la colpa agli arbitri, agli spettatori, ai rivali, al caso, ed annunciano sfracelli per tornare su. Però, negli spogliatoi, si sfogano prendendo a calci le porte.
Comportamenti che trovano il loro pendant nella pagina che Antonio Di Pietro ha comprato sull’Herald Tribune e sul Guardian (strano!) per annunciare la fine della democrazia in Italia. Siamo alle comiche: tutte le democrazie del mondo erano proprio qui in Italia, e risulta che abbiamo verificato una situazione ben diversa.
Guardiamo avanti. Dopo il G8, il governo si è dato nuovi impegni e aggiornato, anche per sé, la propria agenda. Al centro di tutto, come è stato confermato all’Aquila, resta la gente, l’economia, i risparmi, la fine della crisi, lo sviluppo. Sono misure e provvedimenti per le quali sarebbe anche utile un contributo dell’opposizione.
Ma l’opposizione dov’è? Su Repubblica? Nelle pagine a pagamento di Di Pietro? Auguriamoci che loro, non noi, si tirino fuori dai loro guai, che sono – quelli sì - molto seri. Che il Pd si dia una leadership e soprattutto una politica. Diversamente gli italiani, giudicheranno e sceglieranno. Come si fa appunto in democrazia.