La politica estera di un Paese è sempre alla ricerca di un equilibrio tra passato e futuro, guidata dal realismo che si identifica nel perseguimento dell’interesse nazionale. Ma avviene tra Stati sovrani, ciascuno con il proprio regime politico, i condizionamenti interni, gli obiettivi di breve periodo. La diplomazia è un’arte tutt’altro che facile. Può accadere – e spesso accade – che Paesi a lungo amici precipitino in un contrasto molto forte, oppure che Paesi nemici si riconcilino.
È appena il caso di ricordare che Israele, dopo avere considerato Yasser Arafat, per decenni, come un terrorista, ed aver rifiutato rifiutato qualsiasi dialogo, alla fine lo riconobbe come rappresentante dei palestinesi e firmò uno storico accordo. La considerazione del futuro, in questo caso, prevalse sulla memoria del passato. Lo stesso per la Francia e i suoi rapporti con l’Algeria dopo l’indipendenza e le violente accuse che i nuovi dirigenti algerini rivolgevano a Parigi. E che dire dell’apertura degli Stati Uniti di Nixon alla Cina di Mao? Lo stesso Obama si è dichiarato disponibile a dialogare con Ahmadinejad. E l’Italia tiene molto al rapporto con l’Iran.
Che in Libia non prevalga la democrazia è un fatto noto; ma se il giudizio sui regimi dovesse condizionare i rapporti diplomatici ed economici, il mondo sarebbe un luogo assai meno sicuro.
Le critiche che dai partiti di opposizione vengono rivolti alla politica del Governo verso la Libia, e più in generale verso l’Africa, poiché la politica verso Tripoli è un tassello del più ampio progetto italiano di ricostruire una valida rete di rapporti con i paesi africani a nord e a sud del Sahara, hanno poco a che vedere con una valutazione realistica della politica estera e sono funzionali solo alle polemiche politiche interne.
Tutti i governi presieduti da Silvio Berlusconi hanno una medesima caratteristica per quanto riguarda la politica estera: ricucire e poi ampliare i rapporti con i Paesi del bacino del Mediterraneo. Tale strategia ha già dato ottimi risultati con Israele, Turchia ed Egitto. Più di recente, l’attenzione si è focalizzata sulla Libia, un Paese che già i governi della Prima Repubblica e poi i governi di centrosinistra hanno considerato di primaria importanza: per la vicinanza, per il rifornimento energetico, per la responsabilità (in negativo e in positivo) che ha nei flussi migratori attraverso il mare.
Giusto un anno fa, Italia e Libia hanno firmato un trattato di amicizia e collaborazione: un atto consueto tra Paesi che spesso pone fine a un periodo di ostilità, che mette da parte il ruolo della memoria ed esalta quello del futuro. Certo, un accordo deve essere rispettato da entrambe le parti; ma è un dato di fatto, un risultato dal quale bisogna partire. Berlusconi è stato protagonista del trattato: logico, quindi, che voglia celebrarne il primo anniversario, che è un modo per ricordare alla controparte, cioè a Gheddafi, i vantaggi che esso porta, e maggiormente porterà, ai due Paesi, separati da un braccio di mare e quindi predisposti a una normale collaborazione.
La pacificazione con la Libia dovrebbe essere bene accolta da tutti: sia perché un accordo di pace e collaborazione è positivo in sé, sia perché rientra nell’interesse dell’Italia. E della Libia.
[26 agosto 2009]