Dall’interno e dall’estero arrivano segnali convergenti sulla ripresa, sia a livello mondiale sia per quanto riguarda l’Italia.
Il dato più preoccupante relativo alle ripercussioni sull’economia della crisi finanziaria era quello riguardante i consumi. Il loro calo, infatti, avrebbe avuto conseguenze sulla produzione e sull’occupazione. Ebbene, Confcommercio ha segnalato proprio una ripresa dei consumi, che significa soprattutto sia disponibilità di reddito, d spendere, sia fiducia sulla continuità di questa disponibilità. Ed era questo il segnale più atteso perché riguarda il comportamento delle famiglie ed è direttamente verificato dal mercato.
Il commercio, cioè il settore più colpito dalla crisi, sta dunque dando segnali di ripresa. Per due mesi consecutivi, giugno e luglio, si è registrato un incremento dello 0,5 in termini tendenziali e dello 0,2% in termini congiunturali. Benché questi aumenti siano sostenuti da pochi settori (auto, benzina, telefonia e Internet), il presidente Carlo Sangalli è convinti che “la fase più acuta è stata superata”. Aggiunge: “Due mesi consecutivi con il segno più, insieme a un clima di fiducia delle famiglie che è tornato ai livelli del 2007, sono segnali modesti ma che non vanno sottovalutati”. Resta critica la situazione per il ciclo di abbigliamento ed alimentari per il quale una riduzione significativa dei prezzi al consumo è indispensabile per favorire la ripresa della domanda. Ma per quanto riguarda il primo – abbigliamento – è ben nota la concorrenza dei paesi che producono a prezzi stracciati, mentre per il secondo – alimentazione – è necessario mettere mano a un riesame di tutta la filiera.
Come è noto, l’economia italiana è fortemente dipendente da quella internazionale. Su questo piano, alla riunione di Basilea del “Global Economiy Meeting”, il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha confermato che “alcuni indicatori migliorano più di quanto si prevedesse”. Il punto critico è di porre regole precise alle attività finanziarie allo scopo di riavvicinare il credito fornito dalle banche alla produzione.
Intanto, le previsioni sulla crescita mondiale, o sulla riduzione della decrescita, sono migliorate. A primavera, per l’area Euro, si prevedeva per il 2009 una decrescita del 4,9%; adesso tale decrescita si riduce al 3,9%; per il 2010 si prevedeva una decrescita dello 0,3% mentre adesso si prevede una crescita dello 0,2%, sostenuta principalmente dalla ripresa di Germania e Francia. Le conseguenze per l’Italia sono positive: passerà infatti, secondo l’Ocse, da meno 5,5 a meno 5,2. ancora più favorevoli le stime dell’agenzia Moody’s: dalla contrazione del 4,4% prevista per il 2009, si passerà nel 2010 a una crescita dello 0,1%.
Qualcuno potrà osservare che la tendenza positiva resta comunque molto limitata in valore assoluto: ma il passaggio da -4,4% a +0,1% rappresenta invece un salto di +4,5%, che non è poco. E questo senza sottoporre i conti pubblici a uno sforzo traumatico, sconsigliato dall’entità del debito pubblico, e in attesa che le banche escano dalla fase di prudenza che, se è stato un fattore positivo per contenere in Italia l’impatto della crisi finanziaria, potrebbe diventare un fattore negativo se non si trasformasse in un sostegno convinto e coraggioso alle imprese, soprattutto a quelle piccole e medie, poiché per salvare la loro presenza sul mercato non basta la decisione di Tremonti di mettere a disposizione 18 miliardi di euro per saldare i debiti della Pubblica amministrazione nei loro confronti.
Le osservazioni rivolte dal ministro dell’Economia alle banche si lega a questo aspetto: gli istituti di credito non devono aspettare che lo Stato paghi i suoi debiti alle imprese perché questo non basta a garantire la liquidità di cui hanno bisogno per agganciarsi alla ripresa, innovando e investendo.
[08 settembre 2009]