Il governo ha varato per il secondo anno di seguito la cosiddetta Finanziaria-light, un provvedimento leggero in soli tre articoli (furono quattro l’anno scorso), che in realtà è solo un aggiustamento al bilancio triennale approvato nel giugno 2008.
La Finanziaria, infatti, è sparita. E non per un ghiribizzo, o meglio un atto “di regime” di Berlusconi o Tremonti, ma perché ha così stabilito una riforma quadro “di contabilità e finanza pubblica” già approvata all’unanimità al Senato e ora in attesa del sì definitivo della Camera.
Il principio, finora condiviso in modo bipartisan, è di grande trasparenza e saggezza.
Tutto questo non sarebbe stato possibile con la vecchia Finanziaria.
La Finanziaria era nata negli anni Settanta come risultato del consociativismo tra Dc, Psi e Pci. Era un totem, l’occasione unica per ottenere soldi e privilegi; le lobby ed i partiti si spartivano di fatto i denari dei contribuenti. Ebbe come risultato di far lievitare il debito pubblico al livello record che ci portiamo come zavorra. A parole la sinistra e certi settori della Dc chiedevano rigore. Di fatto praticavano l’esatto contrario. La Finanziaria avrebbe dovuto sparire con i vincoli europei e con il patto di stabilità imposto dal precedente governo di centrodestra.
Il governo sta portando il Paese fuori dalla crisi senza avere imposto un solo euro di tasse, senza aver toccato, ma anzi difendendoli i risparmi, gli investimenti, la casa, le infrastrutture.
[23 settembre 2009]