Il decreto prevede la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e tra questi un parziale ingresso dei privati anche nella distribuzione delle acque.
Al momento – dicono le statistiche – la rete idrica perde un litro ogni tre distribuiti. Percentuale ad uno su due se il termine di riferimento è la Puglia, dove l'Acquedotto pugliese (la più grande società europea del settore) riesce a disperdere il 50% dell'acqua distribuita.
Di fronte a questa situazione, il governo è corso ai ripari riformando un sistema attualmente in mano ad una miriade di imprese pubbliche (252 per l'esattezza), la cui natura pubblica non è certo sinonimo di efficienza (vista la dispersione idrica). Ha cioè introdotto il principio che queste società devono essere aperte al privato; proprio con l'obiettivo di migliorare il servizio ai cittadini. La proprietà delle infrastrutture (acquedotti, reti fognarie, impianti di depurazione) resta pubblica; la gestione – dove serve – può diventare privata.
Nella sostanza la riforma del governo punta ad introdurre forme di liberalizzazione di un settore, qual è quello idrico, ancora agganciato a logiche stataliste ed a farne le spese sono i cittadini. Uno su tre, grazie all'attuale sistema, riceve acqua in modo "discontinuo e insufficiente". La riforma del governo punta ad eliminare questo disservizio; ma anche ad eliminare clientele.
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[18 novembre 2009]