Quel che gli studenti non sanno. Nel giorno della riforma si sono presi la piazza. E se fosse solo paura?

Quel che gli studenti non sanno. Nel giorno della riforma si sono presi la piazza. E se fosse solo paura?

Roma fradicia e paralizzata dai cortei I contro la riforma dell'Università, prove di guerriglia urbana attorno a Montecitorio, stazioni ferroviarie occupate in molte città mentre il governo andava sotto due volte in Aula. Nella giornata decisiva del dibattito parlamentare sulla riforma Gelmini, che superato lo scoglio di Montecitorio approda ora ai più pacifici lidi di Palazzo Madama, lo spettacolo non è stato dei migliori e non va in ogni caso sottovalutato, se è un segnale del cattivo clima del paese. E' probabile che la giornata di ieri sia stata il massimo sforzo per bloccare la legge da parte di studenti che saranno pure una minoranza - come ha furbamente detto Fini, mentre come sempre più aderente al comune sentire Berlusconi commentava che "gli studenti veri sono a casa a studiare" - ma hanno per un giorno preso la piazza. Non interessa tanto, in questo momento, stabilire se la protesta esprime davvero una repulsione verso la maggioranza o solo un'ala più aggressiva. Piacerebbe invece capire perché mai quegli studenti si battono con tanto accanimento per difendere l'università com'è, quando è evidente a tutti, a loro per primi, che così non serve che a perpetuare un sistema incapace di fornire la formazione necessaria per un futuro sempre più difficile e competitivo. Naturalmente quelli che protestano contro questa riforma ne chiedono "un'altra", in realtà vorrebbero solo che i cittadini con le loro tasse pagassero i costi crescenti di un meccanismo inceppato, che produce precarietà e non professionalità. Il caso dei "precari" è quello emblematico. Si sono modellati gli atenei in base a criteri occasionali o casuali, si sono fondate facoltà e corsi di laurea senza studenti, affollati di personale che non viene mai sottoposto a verifica attraverso i concorsi, a loro volta organizzati in modo clientelare o nepotistico. La distribuzione di "pezzi di carta" sempre meno rappresentativi di una formazione effettiva produce poi una difficoltà all'entrata nel mondo del lavoro. E' questo, burocratico e improduttivo, il mondo cui aspirano davvero i giovani? E' difficile crederlo e loro stessi non lo credono. Il punto critico sta nel distacco dal mondo produttivo (non solo di merci ma anche di idee e di informazione, naturalmente) che ha separato università e società reale. Ci si agita per la cultura, per la scienza, per il sapere, considerati come valori astratti, e per questo non si comprende lo sforzo di una riforma che cerca di riannodarli alla società e quindi all'avvenire concreto delle generazioni. Non è un'utopia quella che spinge alla protesta, non un disegno razionale anche sedi difficile o impossibile realizzazione. E' purtroppo, solo il timore di dover abbandonare la sonnecchiosa tradizione per immergersi nella competizione.

[01 dicembre 2010]