Fisco e fondi comuni, una svolta in linea con l'Europa

foto: bandiera europaDopo undici anni, il governo ha sanato l’anomalia dei fondi comuni italiani, ponendo le basi per il new deal del Fisco. In quest’ultimo decennio, infatti, siamo stati penalizzati da un sistema impositivo iniquo che, in molti casi, ha finito anche per limitarne l’operatività gestionale. Dal primo luglio, però, il loro trattamento sarà equiparato a quello dei fondi esteri.

Fondi comuni di investimento, che cosa significa?

Si tratta di strumenti finanziari che raccolgono i patrimoni dei risparmiatori, i quali decidono di affidarli alle così dette “società di gestione del risparmio”. Quest’ultime hanno personalità giuridica e capitale distinti da quelle del fondo.

Cosa cambierà?

Dal primo luglio la tassazione sarà applicata (sempre con l’aliquota fissa del 12,5 per cento) soltanto al momento in cui i proventi vengono realizzati: cioè in occasione della distribuzione degli stessi, oppure del riscatto o della cessione delle quote possedute.

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La nuova normativa modifica anche la parte sui fondi esteri e attribuisce un regime di favore (ritenuta del 12,5 per cento a titolo definitivo) non più soltanto ai “fondi armonizzati alle direttive Ue” ma a tutti quelli “situati nell’Unione Europea e nello Spazio Economico Europeo che garantiscano lo scambio di informazioni fiscali con l’Italia”.

Il regime transitorio

Ogni volta che si modifica il trattamento fiscale di uno strumento finanziario i problemi maggiori derivano dal regime transitorio. A partire da luglio, infatti, le società di gestione dovranno “smaltire” i crediti d’imposta accumulati con il vecchio regime di tassazione.

Si tratta di una riforma storica (come già accennato, avviene dopo undici anni) che permette al nostro Paese di omologarsi sempre più alla normativa di Bruxelles e quindi all’Europa in generale.

[05 aprile 2011]