Riforma università: la rivoluzione Gelmini continua

(foto: gelminidi Francesca Angeli) Roma

Ministro Gelmini, la rifor­ma dell’università è entrata nella fase operativa. Oltre alla riduzione del numero dei cor­si d­i laurea pensate anche di ac­corciare i tempi per arrivare al diploma?
«Abbiamo aperto un tavolo con il ministro della Salute, Feruccio Fazio, proprio allo scopo di valuta­re una abbreviazione degli anni di studio per la facoltà di Medicina. Ora sono sei anni per la laurea, poi quattro o cinque di specializzazio­ne e poi ancora il dottorato: non si finisce mai. L’obbiettivo sarebbe quello di accorciare almeno di un anno».

Novità anche per altre facoltà?

«Per Giurisprudenza. Anche in questo caso troppi anni prima del­­l’accesso alla professione. Stiamo valutando la possibilità di antici­pare il tirocinio all’ultimo anno prima della laurea in modo che do­po il diploma occorra soltanto un anno di pratica».

Nel programma elettorale del 2008 il Pdl aveva preso l’impe­gno di abolire il valore legale del titolo di studio. La riforma è operativa. Ma quell’impegno è stato accantonato?

«Assolutamente no. Anzi. É sta­to ribadito anche nel piano per l’occupabilità giovanile elabora­to con il ministro del Lavoro, Sac­coni, insieme con le altre misure per contrastare la disoccupazio­ne dei giovani come il rilancio dell’istruzione tecnico-profes­sionale e dei contratti d’appren­distato».

Luigi Einaudi più di 60 anni fa diceva: «quei pezzi di carta che si chiamano di­plomi di laurea val­gono meno della car­ta su cui sono scrit­ti». Eppure siamo ancora qui a discu­terne. Ministro lei pensa di raggiunge­re questo obiettivo?

«Sì. E se non bastas­sero le parole di Einau­di a superare le resi­stenze, ricordo i dati sulla dispersione scola­stica e la disoccupazio­ne giovanile che sono diretta conseguenza della burocratizzazio­ne degli studi e della perdita di valore di quel famoso pezzo di carta che non basta più. Il primo passo verso l’aboli­zione, infatti, è già stato compiu­to».

Quale?

«Prima dell’abolizione occor­reva compiere un passaggio in­termedio che infatti abbiamo in­serito nella riforma universita­ria: la procedura dell’accredita­mento per tutti gli Atenei. Una ve­rifica seria e approfondita sulla qualità del sistema universita­rio. Altrimenti si poteva davvero correre il rischio reale che al­l’abolizione del valore legale del diploma corrispondesse un ab­bassamento della qualità men­tre noi, ovviamente,puntiamo al­­l’esatto contrario. Il nostro ob­biettivo è l’innalzamento degli standard qualitativi visto che già adesso abbiamo luci e ombre. Non tutti gli atenei raggiungono gli stessi risultati».

A chi è affidata la procedura di accre­ditamento?

«Alla nuova agen­zia di valutazione, l’Anvur, che si è inse­diata nel gennaio scorso. Ma complessi­v­amente tutta la rifor­ma va in questa dire­zione. Abbiamo detto basta agli approcci quantitativi. Il nume­ro dei corsi è stato ri­dotto del 25 per cento e i curricula, i settori scientifico- discipli­nari, del 40 per cento. Era un enorme spre­co di denaro pubbli­co che oltretutto non portava ad alcun risul­tato».

Che cosa altro si può fare per evita­re che l’abolizione del valore legale dei diplomi inneschi una dere­gulation verso il basso?

«Abbiamo imposto alle univer­sità di fare ordine nei conti. Sfido chiunque a capire qualcosa negli incomprensibili bilanci degli ate­nei che invece da ora in poi do­vranno essere trasparenti e leggi­bili da tutti su Internet. La contabi­lità in ordine è un altro passaggio indispensabile. E gli atenei in ros­so saranno commissariati anche se si tratta di una extrema ratio al­la quale speriamo di non dover ri­correre. Vigileremo anche sulla stesura degli statuti. Alcune uni­versità si sono rivolte a prestigiosi studi legali nel tentativo di aggira­re le novità introdotte ma noi pretenderemo che gli statuti siano coe­renti con la riforma e che sia presente in tutti un ampio contributo da parte degli studen­ti».

L’abolizione del va­lore legale del titolo di studio imporreb­be radicali cambia­menti nel sistema dei concorsi pubbli­ci ma potrebbe ave­r­e anche altre conse­guenze indirette e rappresentare una spinta verso l’aboli­zione degli ordini professionali.

«Sono assolutamente favorevo­le a­una riforma liberale delle pro­fessioni ma questa è materia di competenza del ministero della Giustizia. Si possono abolire gli or­dini, sarebbe un passo positivo ma lascio la questione al ministro Alfano».

Chi ha opposto maggiore resi­stenza ai cambiamenti impo­sti dalla riforma universita­ria?

«Ma si tratta di una resistenza generazionale di chi oggi ha 60 o 70 anni e gestisce un sistema di po­t­ere fatto di lobby e baronie al qua­le la riforma pone fine. Spero che si inneschi un meccanismo virtuo­so perché se riusciamo a innalza­re la qualità i giovani non avranno più bisogno di andare

da Il Giornale

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[11 luglio 2011]