Lavoro pił moderno, aziende pił competitive

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Esattamente dieci anni or sono, con l'ausilio determinante di Marco Biagi, il Governo presentò il Libro bianco sul mercato del lavoro segnalando l'anomalia di un Paese nel quale i livelli occupazionali si erano rivelati particolarmente contenuti in relazione alla crescita economica per una cronica diffidenza da parte dell'impresa nei confronti del fattore lavoro.

Questo infatti era stato via via viziato da un sovraccarico ideologico, burocratico, giudiziario con la conseguenza di una diffusa propensione al conflitto individuale e collettivo. Il compromesso tra le rappresentanze dell'impresa e quelle prevalenti del mondo del lavoro si era definito in una rigida e uniforme regolazione centralizzata attraverso leggi e contratti collettivi. Lo stesso contesto istituzionale si caratterizzava per il rigido collo di bottiglia del monopolio pubblico del collocamento, solo ora del tutto liberalizzato. Di tutto ciò erano conseguenza, oltre i già detti bassi tassi di occupazione, l'abnorme dimensione del lavoro sommerso, l'eccessivo ricorso alle tecnologie di processo a risparmio di lavoro, il nanismo produttivo e la combinazione infelice di bassi salari, bassa produttività, elevato costo del lavoro per unità di prodotto. Contestato da una minoranza, quel Libro bianco fu invece accolto positivamente da tutti gli altri attori sociali con i quali si avviò una stagione di riforme legislative e di cambiamenti nelle relazioni industriali che, pur segnata da conflitti e dallo stesso omicidio di Biagi, consentì un drastico innalzamento dei tassi di occupazione fino al recente periodo della grande crisi.

I nuovi paradigmi della crescita e dell'occupazione, indotti dal cambiamento epocale, rendono ancor più urgente oggi l'esigenza di accelerare il percorso riformatore. L'Italia ha bisogno di impiegare compiutamente il proprio capitale umano, a partire dai più giovani, di alzare la produttività e la remunerazione del lavoro, di incoraggiare l'innovazione tecnologica e organizzativa dell'impresa. Il definitivo abbandono del pregiudizio ideologico sul lavoro coincide inesorabilmente con l'ancor più rapido passaggio ad un regime regolatorio semplice, flessibile, adatto alle diverse condizioni di luogo, di impresa, di lavoro, dalle aree depresse, ai settori saturi, alle aziende in crisi, ai rapporti precari, fino ai loro opposti. Uniformi devono rimanere i diritti fondamentali nel lavoro, codificati in primo luogo nella dimensione internazionale e comunitaria, così come quei minimi retributivi che in Italia regola la contrattazione in luogo della legge.

E, al netto di ciò, è manifestamente infondato il richiamo alla Carta costituzionale di quanti ancora vorrebbero rigide uniformità dimenticando quel basico principio per cui condizioni diverse meritano soluzioni diverse. Peraltro, la recente norma sulla contrattazione di prossimità, coerentemente con la tradizione italiana, recepisce e sostiene quelle nuove relazioni industriali che nelle aziende e nei territori si sono prodotte negli ultimi anni in termini "adattivi" e non più unilateralmente "acquisitivi". La nuova dimensione competitiva ha infatti dato luogo a contratti aziendali attraverso i quali le parti si sono reciprocamente adattate per obiettivi comuni in termini di investimenti, pieno impiego degli impianti, occupazione, incrementi retributivi.

Significativa, e solo buona ultima, è l'intesa con la quale la Sevel, in un contesto di risultati positivi, erogherà premi proporzionati al monte ore lavorate nell'anno da ciascun lavoratore fino a 900 euro. Non a caso tutti i principali attori negoziali hanno sottoscritto l'accordo del 28 giugno per definire i criteri di validità delle intese aziendali attraverso l'identificazione delle maggioranze che le approvano. La legge, recependolo, ne garantisce l'applicazione, anche retroattiva, a tutti i dipendenti.
Nondimeno gli accordi territoriali, ove si sono prodotti, hanno voluto organizzare un contesto più favorevole tanto per l'impresa quanto per il lavoro. Al più, essi meriterebbero ancor maggiori contenuti quando costituiscono la premessa necessaria per la detassazione dei salari di produttività.

La norma contenuta nella manovra né impone né complica, peraltro, il permanere di relazioni industriali più centralizzate quando le parti le ritengono più convenienti. Un sistema flessibile vuole proprio consentire libere e responsabili soluzioni.
Solo la deroga a ciò che leggi, oltre che contratti, dispongono nelle materie degli orari di lavoro, delle mansioni, delle tecnologie di controllo, dei licenziamenti, può prodursi esclusivamente nella dimensione di prossimità per favorire la modulazione più idonea del tempo di lavoro, una duttile mobilità interna all'impresa, efficienza produttiva e rispetto della privacy, stabilizzazione dei contratti precari e maggiore propensione ad assumere.

Qualcuno, ripetendo la furbizia di Bertoldo che non trovava mai l'albero cui impiccarsi, ha osservato: "Ma perché ora?". Potremmo rispondere che è stato autorevolmente richiesto dalla Bce, a noi come alla Spagna, un intervento sui contratti aziendali, secondo il modello tedesco, e sui licenziamenti. Potremmo anche citare quanti, soprattutto nel campo dell'impresa e della sua rappresentanza, hanno esplicitamente sollecitato e condiviso. Ma vogliamo, soprattutto, replicare con la autonoma convinzione di un governo che ha seguito in questo tempo il criterio del fare di necessità virtù, dalla regolazione dei grandi rubinetti di spesa, alle riforme dell'educazione e del lavoro. Per cui, quando se non ora?

Maurizio Sacconi Ministro del Lavoro delle Politiche Sociali