Nel marzo 2009 il governo Berlusconi promuove il “Piano casa”, una serie di interventi che hanno un duplice scopo:
Nei mass media (“Repubblica” in testa) scoppia una campagna martellante contro quella che viene definita “legge truffa” (Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica), e “legge scempio” (Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali). Molti Governatori si dichiarano costretti a recepire la legge nelle loro rispettive Regioni sotto la pressione del Governo centrale, con l’accordo di fissare un limite temporale ben preciso: tre anni. Come a dire: tanto non funziona.
Scaduti i tre anni, tutte le Regioni, eccetto l’Emilia Romagna, hanno prorogato i termini di validità della legge, che ha dimostrato in pieno la sua efficacia. La Basilicata ha esteso addirittura la possibilità di ampliamento anche ai condomini, purché il progetto sia unitario, al fine di non compromettere l’architettura originale dell’edificio, e agli immobili condonati. Il Piemonte anche ai beni per la produzione industriale.
Improvvisamente, ma silenziosamente, la “legge truffa o scempio” è diventata “un’iniziativa che già allora conteneva elementi positivi sull’aspetto della semplificazione delle procedure, i cui elementi ora sono stati colti. Oggi ci si rende conto che con un mercato del nuovo in difficoltà, il settore immobiliare e delle costruzioni può limitare i danni soltanto con un rafforzamento della manutenzione” (Luca Dondi, economista e responsabile del settore immobiliare di Nomisma). E ancora: “I governatori di ogni colore politico hanno dovuto riconoscere (magari senza dirlo) che il piano casa berlusconiano coglieva il cuore del problema italiano: l’eccesso di vincoli, di burocrazia, di procedure può uccidere l’attività economica anche più micro” (Giorgio Santilli, Sole 24ore).
Alcuni dati sulle richieste di ristrutturazione presentate:
Veneto 26.000 al luglio 2011
Sardegna quasi 20.000 nel 2012 (dato Confartigianato)