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Intervista del Ministro Frattini a Famiglia cristiana

DISARMO E SVILUPPO, ECCO IL NOSTRO G8

Intervista a cura di Alberto Chiara

foto: Franco FrattiniLe crisi da fronteggiare: «Si parlerà di economia, di welfare e di ambiente», dice il ministro degli Esteri. Che illustra la proposta italiana per riformare l’Onu.

Al suo ritorno anticipato in ufficio, il presepe in madreperla regalatogli dal nuovo patriarca di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, l’ha accolto là dove lui stesso l’aveva messo prima di Natale, in bella vista di fronte alla sua scrivania, silenzioso testimone di pace e di speranza.

Diverse, invece, e purtroppo tragiche, com’è noto, le notizie giunte dalla Terra Santa. «Prima di rientrare urgentemente a Roma per via della nuova crisi mediorientale, ero in Val Badia, per qualche giorno di relax», confida a Famiglia Cristiana Franco Frattini, 51 anni, ministro degli Esteri.

«Ho telefonato al mio omologo israeliano, Tzipi Livni, alla quale ho presentato la linea ufficiale dell’Italia: comprensione per la scelta di autodifesa fatta da Israele, dopo la rottura della tregua da parte di Hamas, ma anche la chiara richiesta di moderazione, per evitare vittime civili nella Striscia di Gaza».

«Ho altresì disposto il rapido invio di aiuti per alleviare la drammatica situazione della popolazione palestinese, fornendo in primo luogo assistenza sanitaria. C’è poi un ruolo più politico-diplomatico che il nostro Paese può e intende svolgere: mediare per riannodare il dialogo, gettando le basi per una soluzione equa e definitiva del conflitto. Nei giorni scorsi, ho avuto contatti con il segretario generale della Lega araba, Amre Moussa, e con il primo ministro libanese, Fouad Siniora».

«In questo momento abbiamo qualche carta in più. Dal primo gennaio, e fino alla fine del 2009, presiediamo il G8. Faremo di tutto perché il processo di pace delineato ad Annapolis, nel novembre 2007, tutt’altro che morto, prosegua e dia risultati. Israele dice che siamo il Paese più amico che loro hanno in Europa, ma al tempo stesso siamo la nazione che ha lanciato un "piano Marshall" per la Palestina, cosa che ci è valsa la gratitudine di Abu Mazen. Vantiamo, poi, relazioni con la Siria che pochi hanno. Ho ricevuto il ministro degli Esteri e il vice primo ministro di Damasco, che hanno offerto all’Italia una stretta collaborazione».

In cambio di cosa?

«Di un articolato progetto per informatizzare il loro sistema finanziario, a partire dalla Banca centrale».

Nessuna mediazione è possibile senza avere l’avallo di Washington...

«Ne parlerò con Hillary Clinton appena diventerà ufficialmente segretario di Stato».

Il 20 gennaio, Barack Obama s’insedierà alla Casa Bianca. Cosa si aspetta l’Italia dagli Usa e cosa teme, a partire dal sollecitato incremento del nostro contingente in Afghanistan?

«Noi non temiamo una richiesta di questo genere. L’Italia ha fatto già molto. Siamo disponibili a far di più tanto per la ricostruzione dell’Afghanistan, quanto per l’addestramento delle sue forze di polizia. Per quanto riguarda il numero dei nostri soldati, il ministro La Russa ha parlato della possibilità di schierare, nell’arco di quest’anno, 2.800 uomini (ora sono 2.200). Avevamo già messo in conto un possibile aumento».

Cosa spera da Obama?

«Penso che il nuovo presidente degli Stati Uniti darà nuovo impulso alla ricerca della pace nel Medio Oriente e farà molto per l’Africa, non soltanto perché è la terra di suo padre. Infine, auspico che consideri l’Europa un unico attore politico e non una somma di singoli Stati. Mi auguro, insomma, che si abbandoni la logica che ha fin qui animato la coalition of the willing (coalizione dei volonterosi, ndr)».

Ma fu proprio il precedente Governo Berlusconi a promuovere, aderendovi, la coalition of the willing tanto cara a George W. Bush, dividendo l’Ue alla vigilia dell’attacco americano in Irak, nel 2003 la Francia e la Germania messe in un angolo...

«Prima di diventare ministro degli Esteri, dal novembre 2004 al maggio 2008, ho ricoperto l’incarico di vicepresidente della Commissione europea. Sono l’esempio vivente di come questo Governo abbia a cuore l’integrazione europea. Noi cercheremo di promuoverla, perfezionando una strategia europea integrata di difesa e sicurezza, che finora è mancata».

Tante parole, pochi fatti...

«Si, se ne parla da tempo. A Helsinki, nel dicembre 1999, fu prevista la nascita di una forza di reazione rapida comune, 50-60 mila uomini, schierabili al massimo in due mesi. Rimane ancora molto da fare. L’Europa può diventare produttrice e non solo consumatrice di sicurezza. Ue e Nato, però, devono integrarsi, non sovrapporsi. Riprenderemo questo ragionamento all’interno del G8».

Quale impronta darà l’Italia?

«L’agenda del G8 prevede il vertice dei capi di Stato e di Governo, in Sardegna, alla Maddalena, dall’8 al 10 luglio, nonché una serie di G8 tematici: sul welfare (a marzo), sull’ambiente, sull’economia, sui principali problemi di politica internazionale (i ministri degli Esteri si incontreranno a Trieste, a giugno). Per la prima volta ci saranno anche un G8 relativo all’agricoltura (si parlerà soprattutto di sicurezza alimentare) e un G8 dedicato agli aiuti allo sviluppo, convocato a Pescara, nel mese di maggio».

I G8 di Trieste e di Pescara li presiederà lei?

«Sì. Quello di Trieste sarà allargato ai ministri degli Esteri di Cina, India, Brasile, Messico, Pakistan, Afghanistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Turchia. L’obiettivo è affrontare insieme il tema complesso della stabilizzazione dell’Asia centrale, cominciando, ovviamente, dall’Afghanistan».

Ci sarà mezzo mondo...

«D’altronde, parlando più in generale anche di sicurezza e di lotta al terrorismo, occorre coinvolgere il maggior numero possibile di attori politici, tenendo conto dei principali focolai di tensione. Come Italia intendiamo promuovere una strategia globale che svuoti gli arsenali, combattendo davvero la povertà. Nel 2010, si terrà la Conferenza di revisione del Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. Vogliamo arrivare entro quest’anno ad avere un quadro preciso e condiviso».

A Pescara si presenterà con alle spalle ingenti tagli dei fondi per la cooperazione allo sviluppo: 411 milioni di euro in meno, nel 2009 (una sforbiciata del 56 per cento, rispetto al budget 2008), collocano l’Italia in coda.

«Premesso che anche gli altri Paesi tagliano, vista la grave crisi economico-finanziaria in atto, una serie di iniziative già tradotte in realtà, o in procinto di esserlo, correggono in meglio le cifre che lei ha fornito. Prima di Natale, infatti, abbiamo recuperato 100 milioni di euro – tutti destinati a progetti di cooperazione civile – nell’ambito del decreto sulle missioni all’estero. Contiamo, poi, di far tornare al sistema della cooperazione italiana una quota ragionevole del miliardo e 200 milioni di euro che il nostro Paese versa ogni anno al Fondo sociale europeo (oggi "rientra" appena il 14 per cento). Vogliamo, inoltre, coinvolgere le aziende italiane nell’aiuto allo sviluppo, cambiando le norme che lo impediscono. Infine, abbiamo firmato un protocollo per coordinare di più e meglio i nostri interventi con quelli della cooperazione decentrata, promossi dalle Regioni».

Più in generale, il 2009 registrerà la ripresa del "multilaterale"?

«Noi lavoriamo in questa direzione. Le anticipo che a febbraio convocheremo a Roma 40-50 ministri degli Esteri, per presentare un nostro progetto di riforma dell’Onu, cuore – oggi un po’ acciaccato, a dire il vero – del "multilateralismo". Proporremo, in sintesi, che per le decisioni dell’Assemblea generale ci sia un consenso più ampio, rispetto alla semplice maggioranza matematica, per garantire una maggiore democrazia. Chiederemo un allargamento del Consiglio di sicurezza, sulla base della rappresentatività regionale e non per alcuni singoli Paesi a scapito di altri. E porremo con forza il problema dell’efficacia degli interventi, cominciando dall’individuare criteri oggettivi che legittimino l’ingerenza umanitaria (ora si decide caso per caso, in maniera discrezionale, usando criteri diversi). Sono un credente. Da cristiano, mi batto per mettere al primo posto la persona umana».

Prima di votare la sua nomina a vicepresidente della Commissione europea le fu chiesto se era massone...

«Rispondo con serena coscienza, oggi come allora: non lo sono».

[8 gennaio 2009]

 
 
 

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