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Il trattato Italia Libia

Il trattato di amicizia e di cooperazione con la Libia è un atto dovuto, utile all'Italia e alla comunità internazionale, frutto di quindici anni di colloqui e discussioni, di grande interesse strategico nazionale.

foto: Berluconi Gheddafi1. Il trattato chiude la questione del riconoscimento dei danni morali e materiali per il tempo in cui la Libia è stata una colonia italiana (1911-1945). L’Italia è il primo Paese che nel rapporto con una ex-colonia riconosce le proprie responsabilità con atti concreti. In quest’ottica va visto l’impegno di costruire infrastrutture per il popolo libico e e di sminare alcune aree del deserto, dove ancora vi sono campi di mine italiane.

In totale l’Italia verserà cinque miliardi di dollari di risarcimento in venti anni. Questi denari serviranno per realizzare infrastrutture. I lavori saranno assegnati a imprese italiane. I fondi saranno gestiti dalla parte italiana mentre la Libia renderà disponibili i terreni, senza oneri per l'Italia o per le aziende costruttrici. A vigilare sarà una commissione mista paritetica, costituita da componenti designati dai rispettivi Stati.
L'opera infrastrutturale più grande, del valore di tre miliardi di dollari sarà la strada litoranea che dovrà congiungere la Tunisia all'Egitto.

Comunque questa strada non può costare più di tre miliardi di dollari: qualora costasse di più, la parte eccedente di spesa verrà sostenuta dalla Libia. Inoltre l'Italia si impegna a costruire 200 unità abitative; ad assegnare borse di studio universitarie e post-universitarie a 100 studenti libici; realizzerà un programma di cure presso istituti italiani a favore di alcune vittime dello scoppio di mine in Libia; ripristinerà del pagamento delle pensioni di guerra ai titolari libici, civili e militari, e ai loro eredi; restituirà alla Libia di manoscritti e di reperti archeologici trasferiti in Italia in epoca coloniale.

2. Il trattato continua l’opera internazionale di inserimento della Libia in un sistema di relazioni utili alla sicurezza del Mediterraneo e del mondo. All'inizio degli anni Novanta la Libia era un Paese isolato nella comunità internazionale, colpito da sanzioni ONU e considerato un pericolo per la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo. Allora l'Italia avvertì una speciale responsabilità verso la Libia e iniziò una politica di apertura nei suoi confronti, d’intesa con i nostri alleati. L'Italia chiese con molta fermezza alla Libia del colonnello Gheddafi di adempiere alle richieste delle Nazioni Unite - accettare un processo internazionale ai libici indiziati per l'attentato di Lockerbie - cosa che le Libia fece, con mediazione italiana e poi con il riconoscimento del Consiglio di sicurezza, che liberò la Libia dalle sanzioni, aprendo la strada ad una normalizzazione dei rapporti diplomatici tra la Libia e la comunità internazionale.

3. Il trattato normalizza i rapporti con un Paese vicino con il quale abbiamo un partenariato economico molto forte e che è per noi strategico. Il Trattato consolida il quadro delle relazioni economiche non solo per l'immensa portata del partenariato energetico, che costituisce uno dei pilastri della diversificazione del nostro approvvigionamento, e potrà ulteriormente svilupparsi per l'estensione delle ricerche dell'ENI, ma ha anche una grande rilevanza per le opportunità che saranno offerte alle nostre imprese.

4. Il trattato pone rimedio alle ingiustizie patite dai nostri connazionali. La Libia si impegna ad abrogare tutti i provvedimenti che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti in Libia; a concedere visti di ingresso ai cittadini italiani espulsi nel 1970; a sciogliere l'Azienda libico-italiana, che finora si è rivelata un ostacolo allo sviluppo della presenza economica italiana in Libia: le nostre aziende sono state costrette a versare contributi obbligatori all'Ali pari fino al 5% del valore dei contratti acquisiti, con una discriminazione a danno delle stesse aziende rispetto alla concorrenza.

Vengono per la prima volta riconosciuti i danni subiti dai nostri connazionali, con uno stanziamento di 150 milioni di euro in tre anni. Il governo ha messo un punto finale su una questione assolutamente da chiudere, anche umanamente, anche perché più passa il tempo e più è difficile che gli interessati riescano ad avere ciò che devono avere, perché sono passati ormai trentotto anni e sovente anche i crediti italiani sono difficili da valutare e da documentare.

Il Governo italiano ha ottenuto peraltro dal Governo libico la ristrutturazione del cimitero civile di Tripoli, che evidentemente, abbandonato dopo il 1970, rappresentava situazioni che, a giudizio del Governo italiano offendevano la dignità dei nostri concittadini.

foto: flussi migratori5. La lotta all'immigrazione clandestina è uno dei pilastri di questo accordo: attuare i pattugliamenti congiunti all'interno delle acque territoriali libiche e aiutare la Libia a proteggere meglio la frontiera Sud. La Libia ha quasi 2.000 chilometri di frontiera nel mezzo del deserto: se non aiutiamo (e lo faremo con un sistema satellitare) a proteggere quella porta di ingresso è assai difficile per la Libia mettere un blocco alla frontiera Nord-mediterranea, perché il traffico di esseri umani attraverso la Libia è fatto non da cittadini libici ma da disperati portati da veri e propri schiavisti dai Paesi dell'Africa subsahariana.

L'intesa di cooperazione con la Libia per prevenire l'immigrazione clandestina è peraltro una intesa italo-libica-europea, tanto è vero che la decisione di sostenere la costruzione di un sistema di monitoraggio dei confini libici è oggetto di un accordo che la Libia ha stretto con l'Unione europea e non soltanto con l'Italia. Il 50 per cento della spesa per il controllo dei confini, effettuato con alti sistemi tecnologici, è finanziato dall'Unione europea.

Gli accordi che abbiamo convenuto ci consentono inoltre di entrare nelle acque libiche, di avere pattuglie guardacoste in comune, di poter donare, in parte, e vendere alla Libia elicotteri per il controllo delle coste. Anche le coste libiche sono molto lunghe e tranne in alcune piccole zone, non sono abitate e non vi sono città. Questo coordinamento è esattamente la ripetizione di accordi bilaterali che abbiamo con la Tunisia , con l'Egitto (come il controllo del Canale di Suez) e che, in misura minore, abbiamo con il Marocco.

[23 gennaio 2009]

 
 
 

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