Donne e pensioni
Il 28 ottobre 2008 un gruppo di 10 parlamentari del Pd - tra i quali esperti come Pietro Ichino e Nicola Rossi, ed ex ministri come Emma Bonino e Linda Lanzillotta – scrisse al ministro del Welfare Maurizio Sacconi una lettera aperta per chiedere di innalzare da 60 a 65 anni l'età di pensione di vecchiaia delle donne. Nel pubblico impiego, ma anche nel settore privato. Il documento venne firmato anche da economiste come Fiorella Kostoris e Stefania Sidoli.
Il governo risponde, a loro ma soprattutto ad una direttiva nello stesso senso della Commissione europea, inviando a Bruxelles il testo di un disegno di legge da sottoporre al Parlamento: prevede, nello Stato, la parità di pensione di vecchiaia uomo-donna a 65 anni entro il 2018. Si tratta, parole di Sacconi ma anche di Ichino "di un atto dovuto. Diversamente avremmo avuto un trattamento discriminatorio e saremmo stati condannati dalla Corte di Giustizia europea". Vediamo i risvolti tecnici e politici di questa decisione.
Innalzamento graduale
Lettera a Bruxelles e poi ddl in Parlamento, presumibilmente di un unico articolo da inserire nel testo annuale di recepimento delle direttive comunitarie. Si parla esclusivamente di dipendenti dello Stato, dove il datore di lavoro è appunto la pubblica amministrazione. A partire dal 2010 ed ogni 24 mesi l'età di pensione di vecchiaia per le donne verrà innalzata di un anno: quindi 61 nel 2010; 62 nel 2012; 63 nel 2014; 64 nel 2016 e 65 nel 2018, quando si realizzerà appunto la parità.
Benefici per lo Stato e per le lavoratrici
Due miliardi e 300 milioni in otto anni saranno i risparmi per l'Inps, che potrebbero raddoppiare se il meccanismo venisse esteso ai privati. Quanto alle lavoratrici, calcolando che il trattamento di pensione di vecchiaia è pari circa all'80% dell'ultima retribuzione, e tenendo conto della dinamica degli aumenti di stipendio nel pubblico impiego (circa il 2,5% l'anno, più alta che nel privato), in otto anni esse dovrebbero recuperare il 40% di reddito: la metà come differenza tra pensione e stipendio, e l'altra meta (2,5 per otto) come aumenti retributivi.
Gia oggi in pensione più tardi
La pensione per le donne a 65 anni esiste del resto già oggi, nel pubblico e nel privato, su base volontaria. Tanto che nello Stato appena il 16% delle donne va in pensione prima dei 60 anni (cioè usufruisce del pensionamento di anzianità), il 44% ci va a 60 anni e ben il 40% si trattiene oltre i 60. La tendenza è dunque di restare al lavoro per mantenere un potere d'acquisto adeguato.
Una questione di giustizia
Tuttavia l'Europa, così come anche la lettera dei parlamentari del Pd, ed oggi il governo, ne fa una questione di parità e giustizia. Riconoscere alle lavoratrici le stesse opportunità per il pensionamento di vecchiaia riservate agli uomini. Fermo restando la possibilità di usufruire della pensione di anzianità una volta raggiunti i requisiti contributivi, non si vede perché una donna debba essere allontanata dal lavoro, per vecchiaia, cinque anni prima dei colleghi maschi.
La situazione in Europa
Nei maggiori paesi la parità uomo-donna esiste già.
- In Francia la pensione di vecchiaia è stata portata a 70 anni su base volontaria (65 obbligatoria);
- in Germania a 67 su base obbligatoria entro il 2029;
- in Inghilterra l'età di pensionamento delle donne è stata innalzata da 60 a 65 anni ed aumenterà a 68 entro il 2046.
L'innalzamento dell'aspettativa di vita
Tutto ciò è una conseguenza della durata media della vita, o aspettativa di vita. Oggi per l'uomo è in Italia di 80,4 anni, la più alta d'Europa; per la donna di 85,3 (seconda in Europa dopo la Francia, 85,4). La durata effettiva è ovviamente più elevata perché nella statistica entrano le morti accidentali e per malattia. Nel 1950 l'aspettativa di vita degli uomini era di 66 anni, nel 1980 di 74,5.
Ma quale accanimento?
Detto tutto ciò, non si capisce perché la Cgil alzi al solito le barricate; e parli di "inaccettabile accanimento". Anche gli altri sindacati sono prudenti (l'Ugl chiede che i 65 anni siano su base volontaria: dimenti che è già così). Si tratta, al contrario, di un diritto in più per le lavoratrici.
Propaganda e realtà
Secondo la retorica corrente a cui contribuiscono non poco molti talk show, la gente sarebbe costretta a "lavorare a vita". E questa è anche la logica che ha spinto il governo Prodi a smantellare in fretta e furia lo scalone Maroni per le pensioni di anzianità. La realtà e ben diversa. Per le fasce più basse di reddito, ma anche per le professioni più qualificate, restare di più al lavoro è un beneficio, sia economico sia professionale. Resta comunque l'opzione della pensione di anzianità.
[4 marzo 2009]