Giustizia, Italia al 156mo posto
Si è fatto un gran parlare, tre settimane fa, del Rapporto dei “Reporters sans frontières” che aveva retrocesso dal 44° al 49° posto l’Italia in tema di libertà di stampa. Non altrettanto clamore è stato riservato al Rapporto “Doing Business 2009” della Banca mondiale – che non è una istituzione di poco conto – che classifica l’Italia al 156° posto su 181 in quanto a efficienza del sistema-giustizia.
Abituati ai numeri, gli esperti della Banca mondiale, hanno tenuto conto dei dati oggettivi arrivando alla conclusione che la lentezza della giustizia italiana – già più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per lo stesso motivo – provoca un danno economico diretto, scoraggiando gli investimenti esteri per il timore che essa infonde di coinvolgere le aziende in processi senza fine. La situazione è realmente drammatica: ci sono attualmente 8.687.000 processi pendenti, di cui 5.425.000 per cause civili e 3.262.000 per cause penali. Poiché i procedimenti “contro ignoti” sono una percentuale irrisoria, vuol dire che milioni di italiani “attendono giustizia”, vivono nell’ansia di una sentenza, sostengono spese non indifferenti, vedono bloccata la loro attività economica e professionale, registrano spesso perdite irreparabili sul piano del buon nome. Non è bastata la “Legge Pinto” del 2001 che stabiliva la possibilità di essere risarciti in caso di eccessiva durata dei processi: di tali processi ce ne sono in corso quasi 38 mila e lo Stato ha pagato, nel biennio 2006-2008, ben 118 milioni di euro. Ha pagato lo stato, naturalmente, non hanno pagato i magistrati, nemmeno a livello di carriera. Quindi, una legge inefficace nei fini e inutilmente costosa per lo Stato.
In campo civile, ci vogliono mediamente 960 giorni per arrivare alla sentenza di primo grado e 1509 per l’appello: complessivamente, in media, più di sei anni e mezzo. Non è difficile immagine quanto costi alla collettività una tale lentezza.
In campo penale, la sentenza di primo grado arriva mediamente dopo 426 giorni e l’appello dopo 730 giorni. Nel 68% dei casi, la sentenza di primo grado di conclude con una condanna: non è segno di efficienza delle indagini se un imputato su tre viene assolto. Senza contare le assoluzioni in appello.
Dunque: non solo giustizia-lumaca ma anche giustizia “bendata”, non nel senso che non guarda in faccia a nessuno, ma nel senso che colpisce alla cieca. Tanto nessun magistrato rischia né lo stipendio né la carriera. L’Associazione nazionale magistrati è la migliore forma di assicurazione corporativa che si sia mai vista. Al prezzo molto alto di squilibrare il rapporto tra i poteri dello Stato.
[10 novembre 2009]
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