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Il ministro Alfano spiega il cosiddetto processo breve

foto: carceriApprofitto del mio intervento per esprimere il parere del Governo sugli emendamenti presentati all'articolo 3 e per rispondere ad alcune obiezioni di merito che sono state formulate nel corso del dibattito, con la legittima richiesta da parte dei colleghi dell'opposizione al Governo di intervenire, ma si trattava di obiezioni tutte relative al tema oggetto dell'articolo in esame e, dunque, mi permetto di chiedere la parola in quest'Aula specificamente su questo argomento.

Vorrei dire che, attualmente, in Italia i processi penali durano, in media, 317 giorni in primo grado, 738 giorni in Corte d'appello e 204 giorni in Cassazione. In media, dunque, un processo attraversa i tre gradi di giudizio in 1.259 giorni, ossia in tre anni e cinque mesi. A questi tempi processuali vanno sommati i tempi delle indagini che durano, sempre in media, circa 400 giorni. In primo grado, con il rito monocratico, il 46 per cento dei processi viene celebrato in meno di sei mesi, il 19 per cento tra sei mesi e un anno, il 18 per cento tra un anno e due anni e, infine, il 17 per cento in oltre due anni. Con il rito collegiale, dove si trattano i processi più gravi, le classi di durata si rallentano leggermente con il 36 per cento dei processi celebrati entro sei mesi ed il 23 per cento in oltre due anni. In base al dato quinquennale in Italia si prescrivono, in media, ogni anno circa 170 mila procedimenti penali, quindi 466 al giorno. Ai fini della corretta valutazione di impatto della norma attualmente in discussione, che modificherebbe i termini della prescrizione, occorre tuttavia tenere conto di due circostanze: la prima è che essa riguarderebbe solo i processi di primo grado e le prescrizioni in primo grado sono state circa 125 mila nel 2009; la seconda è che il beneficio riguarda solo gli imputati incensurati, che in base ai dati del casellario giudiziario sono in media il 55 per cento sul totale dei condannati. Se si applicano queste considerazioni alla stima di impatto quantitativa che è circolata in questi giorni, allora è corretto dire che i processi penali a rischio diventano circa lo 0,2 per cento, mentre ogni anno si prescrivono in media il 5 per cento dei procedimenti totali aperti, che sono attualmente tre milioni e 290 mila in tutti i gradi di giudizio. Si tratta quindi dello 0,2 per cento.
Sempre sul dato delle prescrizioni si osservi come circa 100 mila delle prescrizioni annuali avvengano già in fase di indagini preliminari con richiesta al GIP. In altre parole, la maggior parte delle prescrizioni si consuma, di fatto, già in fase di indagini, ancor prima del dibattimento, per una selezione di gravità dei reati operata dai pubblici ministeri.
Sulla base di questa prassi sono i processi meno importati che vengono lasciati indietro e sui quali più probabilmente agisce il termine della prescrizione. La domanda concreta dovrebbe essere, dunque, un'altra e cioè non quanti sono i processi a rischio prescrizione, ma quanti, tra questi processi a rischio prescrizione, non si sarebbero prescritti se il Parlamento non avesse approvato la norma che tende oggi ad approvare. Questo è il punto!
foto: alfanoLa quotidiana esperienza giudiziaria insegna che pochi di questi processi sarebbero giunti alla meta dell'ultimo grado di giudizio. In realtà anche quei pochi che fossero riusciti a superare la barriera del primo grado, sarebbero andati incontro alla prescrizione nei successivi gradi di giudizio e questo anche in considerazione della durata media del processo di appello, che è più del doppio rispetto a quella di primo grado.
In questi giorni sono state diffuse informazioni non condivisibili relative all'impatto di questa norma. Mi riferisco specificamente alla strage di Viareggio e de L'Aquila. Per esempio, il disastro di Viareggio avvenne nel giugno 2009. L'autorità giudiziaria sta procedendo per reati gravissimi, come l'omicidio colposo plurimo e il disastro ferroviario, puniti con pene molto severe e che si prescriveranno, quindi, in un tempo lontanissimo. Ebbene, se la norma all'esame del Parlamento fosse approvata, la prescrizione del disastro ferroviario di Viareggio maturerebbe in 23 anni e quattro mesi, quindi nel 2032, e la prescrizione dell'omicidio colposo plurimo addirittura dopo, fino a un massimo di 35 anni dai fatti, quindi nel 2044.
D'altra parte la norma riguarda, così come anche nella gran parte dei casi de L'Aquila, soltanto gli incensurati e non anche i recidivi. Pertanto, mi sento di dire che analoghe considerazioni possono farsi sul disastro de L'Aquila, se è vero che il termine di prescrizione ordinaria è di 10 anni, aumentabile ad 11, anzi specificamente 11 anni ed otto mesi. A soli due anni dalla tragedia del sisma abruzzese credo vi sia tutto il tempo per definire il giudizio. Peraltro, nella fattispecie, il termine di prescrizione si ridurrebbe di soli dieci mesi. La norma, nella parte che tocca solo la posizione degli incensurati e non anche quella dei recidivi, non riguarda i termini di prescrizione dei reati, che restano invariati, ma riguarda il surplus di durata del processo determinato dai cosiddetti atti interruttivi della prescrizione, che si riduce mediamente di qualche mese. Ad esempio per le truffe, per l'aggiotaggio e per il market abuse, si passerebbe dall'attuale tetto massimo di 7 anni e sei mesi a 7 anni; per reati più gravi, come la bancarotta fraudolenta, il furto pluriaggravato, la rapina semplice, l'usura e la violenza sessuale, si passerebbe dagli attuali 12 anni e sei mesi a poco più di 11 anni e sei mesi; per la bancarotta fraudolenta ed aggravata (il caso Parmalat) si passerebbe dai 18 anni e nove mesi a 17 anni e sei mesi; per le lesioni volontarie (il caso Clinica Santa Rita) si passerebbe da 8 anni e nove mesi a 8 anni e due mesi.

Anche per i reati contro la pubblica amministrazione il surplus di durata del processo nei confronti degli incensurati viene ridotto di pochi mesi: di sei mesi per il reato di corruzione (da 7 anni e sei mesi a 7 anni) e di otto mesi per la corruzione in atti giudiziari (da 10 anni a 9 anni e quattro mesi). Per reati di particolare allarme sociale, come l'omicidio colposo commesso in violazione di norme sulla circolazione stradale e sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, si passerebbe da 17 anni e sei mesi a 16 anni e quattro mesi, che
diventano addirittura 23 anni e quattro mesi, se il fatto è commesso da chi guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.
Conclusivamente, il regime della prescrizione resta quello introdotto nel 2005 che in questi anni la Corte costituzionale, più volte sollecitata dai giudici, ha fatto salvo, estendendone, anzi, gli effetti a tutti i dibattimenti nei quali non sia stata ancora pronunciata la sentenza di primo grado, cosa affermata nella sentenza del 23 novembre del 2006, n. 393. La nuova norma, dunque, si limita a completare la riforma del 2005 per differenziare la posizione dell'imputato incensurato da quella del recidivo. Se poi il reato, invece di prescriversi in dieci anni - mi riferisco a quello cui ha più volte ha alluso l'opposizione - si prescriverà in nove anni e quattro mesi, occorrerebbe piuttosto domandarsi come mai in un tempo così lungo non si sia ancora arrivati nemmeno a una sentenza di primo grado.

[12 aprile 2011]
 

 
 
 

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