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"Serve subito un patto per le nuove generazioni"

foto: azienzaMinistro Meloni, la crisi economica ancora in atto ha colpito in particolare i giovani lavoratori atipici: iprogettispeciali si sono esauriti, così come i contratti ad essi legati; i contratti a tempo non sono stati rinnovati. Le aziende hanno, di fatto, rinunciato ai giovani per salvaguardare i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, cioè i meno giovani. Si sta verificando nel mondo del lavoro un conflitto generazionale. Lei come lo vive?

«Mi trovo perfettamente d’accordo con quanto ha dichiarato il cardinal Bagnasco: per uscire dalla crisi è necessario un nuovo patto tra le generazioni. Occorre stabilire nuovi principi ed evitare che si ripeta in futuro lo scempio del passato, quando la Prima Repubblica ha scaricato i costi delle sue scelte sulle generazioni future. Abbiamo lavorato fino ad oggi mettendo in campo strumenti concreti per porre rimedio ad alcune discriminazioni che i giovani subiscono. Come ad esempio quelle che impediscono a chi ha un contratto atipico di accendere un mutuo e che hanno trasformato in un lusso per pochi la decisione dimettere al mondo un bambino. Oggi il rischio è che per tanti giovani la flessibilità del lavoro, anziché in un’opportunità, si trasformi in precariato, e così si cronicizzi.
Questi problemi non si possono certo risolvere con la bacchetta magica. Ma qualcosa di concreto si può cominciare a fare. Per parte
sua, il Ministero della Gioventù ha voluto mettere in campo un fondo per la stabilizzazione dei giovani genitori precari,stanziando 51 milioni di euro. Il fondo riconosce ai giovani genitori disoccupati o precari una dote trasferibile ai datori di lavoro che li assumono alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato. Il nostro obiettivo è quello di  riuscire quanto prima a far sì che vengano assunti oltre 10 mila giovani genitori precari. Vorrei sottolineare a questo proposito che questo è stato il primo governo ad avere steso gli ammortizzatori sociali ai lavoratori precari, stanziando 9miliardi di euro per proteggere i lavoratori non coperti da cassa integrazione. Grazie aquesto investimento, quasi 5.300.000 lavoratori hanno visto garantita per la prima volta una forma solida di tutela. Per il 2011, è stato stanziato un ulteriore miliardo e mezzo».

Ritiene che l’utilizzo su larga scala dei contratti atipici,degli stages, e comunque di ogni forma di lavoro flessibile abbia avuto un impatto negativo sulla produttività e soprattutto sul morale dei giovani?

«Il problema non è l’esistenza deicontrattiatipici. Di per sé, questi potrebbero anzi facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, e al tempo stesso rappresentare uno stimolo a mettere in gioco al meglio le proprie capacità. Il vero problema è l’uso illegale che troppo spesso viene fatto dei contratti atipici. Quando, ad esempio,un contratto atipico viene utilizzato per “coprire“ quello che a norma di legge sarebbe invece un rapporto di lavoro subordinato. Per questo il governo ha intensificato i controlli alle aziende. Al tempo stesso, con il rilancio del contratto di apprendistato voluto dalministro Sacconi, si sono messe in campo opportunità concrete  grazie ad uno strumento che ricostruisce finalmente il rapporto tra mondo dell’istruzione e mondo dellavoro. Oggi viviamo nel paradosso di una disoccupazione giovanile diffusa e, al tempo stesso, di una forte carenza di professionalitàspecializzate. Il contratto di apprendistato ci consente di ricostruire un equilibrio tra domanda e offerta. Ma stabilisce anche diritti proprio perché è soprattutto un contratto di lavoro garantito, a tempo indeterminato».

Si dice che l’Italia “non è un Paese per giovani“, anche perché si riscontrano ostacoli di ogni genereall’inizio di una attività lavorativa soddisfacente.Per i giovani laureati, anche brillanti, si spalancano le porte all’estero, e si chiudono in Italia. Che cosa si può fare?

«Una premessa: è giusto che i giovani possano maturare esperienze di studio e di lavoro all’estero. Ma è fondamentale fare in modo
che i giovani abbiano poi l’occasione di mettere a frutto in Italia le competenze acquisite. Un primo passo è spiegare al mondo dell’impresa
quanto grande sia il patrimonio rappresentato dal giovane talento italiano, e come questo sia il miglior investimento che si possa fare. Un’altra questione importante: molto spesso le occasioni di lavoro ci sono, e quello che manca è qualcosa che elimini quel baratro di incomunicabilità che da troppo tempo caratterizza il rapporto tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro in Italia. Per rispondere
a questa necessità abbiamo pensato al progetto Campus Mentis, che ogni anno fa  incontrare i migliori neolaureati italiani con i responsabil idelle risorse umane delle più grandi aziende nazionali ed estere che operano in Italia. Il progetto funziona: già il primo anno il 77 per cento
deipartecipantihaavutounaproposta di lavoro ».

Secondo un’indagine della Confartigianato le imprese italiane hanno difficoltà a reperire il 17,2% della manodopera necessaria, mentre aumentano le iscrizioni ai licei. Una situazione che fa crescere la disoccupazione giovanile.

«È vero, in Italia esiste un grande problema di orientamento, che contribuisce purtroppo ad allargare il divario di incomunicabilità che già esiste tra mondo della formazione e mondo del lavoro. Da un lato, infatti, molti giovani intraprendono un percorso  universitario senza la minima consapevolezza di quanto possa essere complesso entrare nel mondo del lavoro una volta terminati gli studi. Se i ragazzi fossero meglio preparati ed orientati all’accesso alle facoltà universitarie, saprebbero ad esempio che, oggi, ad un anno dal conseguimento della
laurea di secondo livello, il tasso di disoccupazione è del 33,3% per gli avvocati, e chi lavora ha uno stipendio medio netto di 958 euro, mentre è addirittura dello 0% per infermieri e ostetriche, e chi lavora ha uno stipendio medio di 1.637 euro».

È il Mezzogiorno ad essere più colpito dalla crisi occupazionale giovanile. Altro problema fondamentale è il lavoro femminile: troppe risorse umane non sono sfruttate. Che cosa deve cambiare?

«Il ministero della Gioventù ha lavorato con il ministro Tremonti affinché, previa intesa con la Ue, una parte dei fondi europei fosse
utilizzata per riconoscere un credito d’imposta alle aziende che nel Mezzogiorno d’Italia assumono giovani a tempo indeterminato.
Non più erogazioni a fondo perduto, ma incentivi alla creazione di posti dilavoro. Per quanto riguarda la disoccupazione femminile, c’è effettivamente un dato molto preoccupante: una donna su quattro con figli non rientra nel mercato del lavoro dopo la gravidanza. Dobbiamo fare in modo che le giovani donne italiane non debbano più essere costrette a scegliere tra la carriera e il sacrosanto diritto a costruirsi
una famiglia».

[29 settembre 2011]

 
 
 

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