Ecco le divisioni nel Pd
Dopo il ciclone innescato dalle considerazioni di Ignazio Marino sulla "questione morale" apertasi nel Pd dopo l'arresto di Luca Bianchini, coordinatore di un circolo romano e presunto stupratore seriale, il partito di Franceschini è ora alle prese col tornado Beppe Grillo. Il comico genovese ha infatti lanciato un'opa ostile, candidandosi alla segreteria e trasformando così una competizione dai toni grotteschi in una farsa tragicomica.
Una forza politica non può sopravvivere se non possiede almeno tre requisiti fondamentali:
- una guida autorevole, per non dire carismatica;
- una tradizione comune in cui riconoscersi;
- un progetto chiaro e definito.
Al Pd questi requisiti mancano tutti, e non c'è dunque da stupirsi se il maggior partito di opposizione si trova stretto nella morsa di Di Pietro e di Beppe Grillo, il primo scelto imprudentemente da Veltroni come alleato strategico, il secondo spedito come un cavallo di Troia a scompaginare ulteriormente le file di un Pd già squassato dalle correnti, dalla guerra intestina fra "vecchio" e "nuovo" e dai timori di un'imminente scissione.
E siccome nessuno dei due maggiori azionisti (gli ex Ds e gli ex Margherita) dispone di un leader in grado di mettere tutti d'accordo, si assiste per la prima volta allo spettacolo di un partito politico eterodiretto da un giornale, Repubblica, che quotidianamente detta la linea al segretario impedendogli perfino di sposare pienamente gli appelli a un clima più civile lanciati da un capo dello Stato che da quel partito proviene.
I continui niet di Di Pietro hanno messo nell'angolo il gruppo dirigente del Pd, che da una parte (Franceschini) teme di concedere troppo spazio politico all'ex magistrato in un campo, quello dell'antiberlusconismo, che trova ampi consensi nella base post-comunista; e dall'altra (Enrico Letta) è consapevole che un'opposizione più responsabile e matura sarebbe l'unica strada percorribile per ritrovare spazio al centro e proporsi quindi come credibile forza di governo.
Ma se il moderato Fassino dichiara (lo ha fatto ieri) che le differenze tra il Pd e l'Italia dei valori "sono più di tono che di sostanza", allora significa che la deriva del prossimo congresso è già segnata nella direzione di un confuso velleitarismo antiberlusconiano in cui non c'è più né riformismo nè massimalismo ma solo una lotta di sopravvivenza fra apparati di potere che non hanno più riferimenti valoriali. Se le cose andranno davvero così, la scissione sarà inevitabile.
Non è, comunque, la prima volta che le strade dell'accoppiata Grillo-Di Pietro si incrociano con quelle del Pd. Ma in questa fase, assai delicata per un partito che ha tra l'altro avviato un complesso iter congressuale, il fuoco incrociato rischia di essere particolarmente nocivo. Un dato che, lungi dal costituire un freno, rappresenta anzi un incentivo, per il comico ligure e l'ex magistrato molisano, a sparare sul manovratore.
Non a caso ieri Di Pietro ha promosso il programma di Grillo come l'unico "serio" e concreto" tra quelli presentati dai candidati alla segreteria. Mentre lo stesso Grillo, dopo l'annuncio dell'iscrizione (non accettata)in un circolo di Arzachena, si è premurato di spargere sarcasmi su un partito "di finta opposizione, di comitati d'affari, di fassini, di dalemini, di gente inesistente".
Ora resta solo da verificare se tra I dalemini, i fassini o I franceschini ce ne sia uno che abbia il coraggio di chiudere la porta in faccia a Di Pietro, oltre che a Beppe Grillo.
[14 luglio 2009]
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