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Intervista del ministro Gelmini al Messaggero

"Il Messaggero" lunedì 14 Luglio 2008

di MARIA LOMBARDI

ROMA - Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini non propone grandi riforme ma nuovi punti di vista. La scuola non va? Invece di pensare a cambiare la struttura, cominciamo a preoccuparci delle persone, è la filosofia dell’avvocatessa trentacinquenne di Brescia chiamata alla guida del dicastero di viale Trastevere. A cominciare dagli insegnanti.

Secondo la ricerca di Bankitalia i docenti sono anziani, demotivati e questo si traduce in un danno per gli studenti.

«Il tema degli insegnanti è centrale per il rilancio della scuola. Non penso che sia tanto un problema di anzianità, quanto di motivazioni: si è persa la percezione del ruolo dell’insegnante, della centralità della funzione educativa nella società. Abbiamo docenti sottopagati e poco considerati. Dobbiamo rivedere il sistema di reclutamento, pretendere una formazione permanente e valorizzare il merito».

Lo studio punta il dito anche contro l’eccessivo turnover dei docenti. Si può fare qualcosa per limitarlo?

«Sì, e penso a un sistema di incentivi per gli insegnanti che garantiscano la permanenza per un ciclo scolastico in una determinata scuola. La qualità della didattica dipende anche dalla possibilità che un docente duri per i cinque anni. Purtoppo il bilancio che abbiamo a disposizione è ingessato, ma ritengo che vadano liberate delle risorse da destinare alla formazione permanente e agli insegnanti che assicurano continuità. Così come occorre pensare a un meccanismo che consenta di legare la scuola al territorio in modo che questo esprima almeno il 60% del corpo docente. E invece oggi troppi insegnanti provengono da regioni distanti. Il che dovrebbe accadere per una percentuale limitata di casi, altrimenti si rischiano trasferimenti, supplenze e non si garantisce la continuità di presenza».

Rivedere il sistema di reclutamento, ha detto. Come?

«Intendo confrontarmi con le parti sociali e con le commissioni parlamentari, il tema sarà oggetto di concertazione. Entro il 2015 circa il 30% degli insegnanti andrà in pensione, quindi ci sarà naturalmente uno svecchiamento del corpo docente a cui deve corrispondere una rivisitazione dei criteri che presiedono all’accesso a questa professione e all’avanzamento che dovrà essere non solo per scatti di anzianità, ma anche per merito. Ci sono diversi progetti di legge. Io penso che per elevare la qualità della scuola occorra prima di ogni cosa valorizzare il capitale umano piuttosto che occuparsi di archetipi organizzativi. In questi anni si è perso di vista che la scuola è fatta di persone, si sono immaginati tantissimi progetti senza preoccuparsi del grado di soddisfazione e di preparazione degli insegnanti».

Ma come si fa a premiare il merito se si parla di tagli?

«Il 30% delle risorse recuperate con i tagli verrà investito nella premialità. Sono 80mila i posti che verranno ridotti, quindi parliamo di cifre consistenti. Ma puntare sugli incentivi significa anche dare un grande valore al tema della valutazione».

Quali i criteri per premiare un insegnante?

«La disponibilità a garantire la continuità, dicevo prima, la formazione permanente e poi il grado di apprendimento dei ragazzi. Non a caso intendo puntare molto sull’Invalsi, l’organo di valutazione delle scuole. Oggi in Italia si investe troppo poco nella valutazione, la vediamo come un meccanismo per punire e invece serve a premiare. Ho in mente un progetto importante che presenterò nell’arco di qualche settimana: punta al rilancio dell’Invalsi e mette al centro la valutazione»

E i precari?

«Sono stati, quest’anno, immessi in ruolo 25mila insegnanti. Il governo si impegna ad assorbire i precari compatibilmente con gli spazi economici che non sono tantissimi, ma non possiamo crearne di nuovi. Io credo inoltre che le varie scuole debbano poter reclutare gli insegnanti, i dirigenti andrebbero responsabilizzati nella scelta e nella valutazione dei docenti. Tutto questo contribuirà a rendere la scuola più dinamica e flessibile. Serve un colpo d’ala, dobbiamo cambiare pagina con provvedimenti non ideologici, ma legati al buon senso e all’esperienza concreta».

Molte scuole sono state in difficoltà nell’organizzare i corsi di recupero per i debiti.

«Stiamo monitorando, non registro particolari problemi nello svolgimento dei corsi di recupero. Terminata l’esperienza di quest’anno, vedremo cosa fare. Abbiamo insediato una commissione che andrà a valutare diverse ipotesi, compreso il ritorno agli esami di riparazione. Non può funzionare una scuola che non mette al centro insegnanti e ragazzi e non arriva a pensare percorsi di studio personalizzati per i singoli studenti per combattere la dispersione scolastica».

Quanto sarà rigorosa la scuola del ministro Gelmini?

«Col forum degli insegnanti e degli studenti stiamo ragionando sull’ipotesi di legare la promozione anche alla condotta. Io trovo incomprensibile che non si valuti in alcun modo il comportamento dei ragazzi. In qualche modo anche la condotta ha la sua valenza, è importante conoscere l’italiano o la matematica ma anche il rispetto delle regole deve avere la giusta considerazione».

Avrà un valore il curriculum scolastico e il voto di maturità nell’accesso alle facoltà a numero chiuso?

«Ci stiamo confrontando. Forse non attribuiremo alla carriera scolastica 25 punti, come era stato proposto dal precedente ministro, ma si sta considerando un punteggio più basso».

All’università il modello del tre più due, dicono in molti, ha portato a una svalutazione della laurea. Si può cambiare?

«Molti sostengono che non è modificabile, ho fatto un approfondimento normativo e non è così. Certo, il ritorno a un’organizzazione diversa non è facile. Ma anche questo è un’argomento di riflessione dal momento che l’attuale organizzazione è valutata dai più negativamente. Bene ha fatto Mussi a razionalizzare i corsi di laurea che devono servire agli studenti e non agli insegnanti. Anche all’università dobbiamo cercare di liberare risorse per la premialità. Abbiamo offerto un elemento che va visto in termini di sperimentazione: la possibilità di trasformare le università in fondazioni. Idea che che ha suscitato tanto clamore, ma si tratta di uno strumento utile per legare le università al territorio, avere risorse in più e una governance più snella».

 
 
 

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